60 anni dei Trattati di Roma: L ’Unione Europea ritrovi il suo vero spirito

di Roberto Marraccini

“Con il presente Trattato, le Alte Parti Contraenti istituiscono tra loro una Comunità europea”. Così recita l’articolo 1 del Trattato istitutivo della Comunità europea, firmato a Roma il 25 marzo del 1957 da 6 Paesi fondatori (Italia, Francia, Germania, Olanda, Belgio, Lussemburgo) e che oggi compie i suoi primi 60 anni di vita. Sessant’anni che hanno visto alternarsi fasi storiche alquanto diverse: dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, all’avvento della Guerra fredda (con il mondo bipolare formato dai due blocchi contrapposti che lo caratterizzavano), fino ad arrivare alla caduta dell’ideologia comunista (caduta del Muro di Berlino), con la conseguente scomparsa dalla geopolitica mondiale, almeno in termini espliciti, del dualismo USA-URSS.
Le celebrazioni istituzionali per i 60 anni dei Trattati di Roma debbono rappresentare l’occasione per riflettere, in profondità, sul cammino compiuto dall’Unione Europea (nome assunto dopo l’approvazione del Trattato di Maastricht del 1992) in relazione agli obiettivi che la stessa si era posta per accrescere il benessere dei popoli europei e per rappresentare davvero una opportunità per le generazioni future.
Senza entrare in analisi strutturali legate ai vari contesti nazionali su cui – volenti o nolenti ancora oggi il cittadino si basa – è del tutto evidente che la motivazione che portò i Padri fondatori dell’Europa a creare una unità di intenti tra gli Stati europei, ovvero la costruzione di una pace duratura nel Vecchio Continente, si è compiutamente realizzata. Mai prima d’ora l’Europa aveva visto un così lungo periodo storico senza una guerra sul proprio suolo (eccezion fatta per i conflitti nella ex Jugoslavia).
L’Europa è stata per secoli un’idea, un sogno di pace e di unità tra popoli diversi. Nonostante queste idee portate avanti da nobili voci (Altiero Spinelli, Jean Monnet, Robert Schuman, Winston Churchill solo per citarne alcuni) da qualche anno il processo di integrazione europea appare sempre più in difficoltà, per cause sia esterne che interne. Da una lato la globalizzazione e la conseguente concorrenza economica mondiale (Cina, Russia, nuovo Paesi emergenti ecc.) che hanno mutato gli scenari geopolitici, spostando il mondo verso un nuovo multipolarismo conflittuale; dall’altro la crisi economica che sta impoverendo un’intera generazione, la minaccia terroristica (11 settembre, Iraq, Primavere arabe, Siria ecc.) e il fenomeno epocale dell’immigrazione di massa. Tutto ciò, ovviamente, si ripercuote sul piano interno dell’Ue, che vede – come retroazione all’immobilismo delle istituzioni comunitarie – crescere in maniera vigorosa il consenso elettorale per le forze antieuropeiste e populiste. Per restare nel nostro Paese, mai come oggi le idee contrarie all’Europa avevano avuto una presa così forte tra i cittadini (Lega e M5S dai sondaggi recenti arriverebbero a sommare intorno al 40%).
Se dunque l’Italia – Paese che più di tutti ha incarnato lo spirito europeista e che ha sempre creduto fideisticamente nel disegno di integrazione comunitaria – vede deteriorarsi giorno dopo giorno tra i propri cittadini la fiducia nel progetto europeo, è giusto e doveroso capirne in profondità le motivazioni.
L’Unione Europea, così com’è, non funziona. Questo pensiero non proviene solo dalle forze contrarie all’Europa, bensì anche dai suoi stessi sostenitori. Emma Bonino, che certamente non può essere tacciata di antieuropeismo, è stata chiara: “L’Unione è una grande incompiuta davanti a un bivio”. Un bivio che la può portare o alla sua dissoluzione o alla sua rinascita. Le criticità esistono e sono evidenti. La moneta unica è, forse, l’emblema della più profonda debolezza attuale in cui strova l’Ue. Mai prima si era vista una moneta unica senza una politica comune. Si credeva, erroneamente, che la politica avrebbe seguito il momento economico e che economie diverse (vedi Grecia e Germania) si sarebbero, necessariamente, allineate. Ma prima di parlare e discutere di moneta e di tassi di cambio, la classe politica dell’Europa avrebbe dovuto partire dalle basi valoriali, dall’identità stessa dell’Europa.
L’identità europea è plasmata dalla condivisione di una storia comune, da molteplici rapporti di scambio con le altre culture, dalla democrazia, dalla solidarietà e dal rispetto reciproco delle nostre differenze (tra gli Stati e i territori). La valorizzazione di quello che ci unisce è il giusto approccio che l’Ue deve seguire. L’Unione europea deve essere il collante che tiene insieme tutte le diversità che compongono il panorama continentale e non la semplice trasposizione delle logiche tecno-burocratiche sulla testa dei cittadini (direttive, regolamenti, ecc.).
L’Europa deve tornare ad essere un sogno come lo fu per i Padri fondatori al termine della Seconda Guerra Mondiale. Ma perché tutto questo possa accadere occorre che l’Ue si spogli della sua elitaria distanza con i cittadini e sottoscriva con gli stessi un nuovo Patto di fiducia.
La strada da compiere, certamente, è lunga e difficoltosa. E allora perché non partire proprio da una nuova “Costituzione europea” dove scolpire i princìpi e i valori su cui ricostruire l’Europa del futuro (democrazia sovranazionale, Europa sociale, pluralismo territoriale, sussidiarietà, progresso tecnologico, valorizzazione delle Regioni e dei territori, riconoscimento delle radici cristiane ecc.)?
L’Europa deve ritornare ad essere una comunità di destino. La speranza è che le celebrazioni di Roma non vengano archiviate come mero appuntamento retorico, ma provochino quella reazione positiva ed innovatrice che porti ad una nuova stagione costituente europea. Per arrivare, finalmente, a quell’Europa che tanti hanno sognato e per cui si sono battuti, affinché la futura casa europea trovi nel principio “Unità nella diversità” la sua vera ragion d’essere.