Catalogna. Raisi, ‘Se fosse approvata la secessione non cambierebbe nulla’

a cura di Vanessa Tomassini –

“Sono un imprenditore, figlio di madre spagnola. Dopo la carriera parlamentare ho deciso di trasferirmi in Spagna nel paese di mia madre, dove sono ripartito con la mia attività imprenditoriale. Vivo tra la Mancha e Valencia. Ho un’attività di packaging e un’altra di marketing e consulenza alle imprese esportatrici, proprio nel cuore della Spagna. Sono nella terra di Don Chisciotte e con i miei amici catalani siamo molto preoccupati. Questa è la terra di mia madre, la terra che mi ospita e questa situazione la sento in maniera particolare, più di qualsiasi altro italiano. Sento che la gente fa dei voli pindarici, sento parlare di auto-destinazione dei popoli, tutte cose vere, ma non è la situazione della Catalogna”. Si presenta così l’ex parlamentare del Popolo della Libertà Enzo Raisi, con una laurea in scienze politiche e un master in marketing. In questa intervista composita, Raisi ci aiuta a comprendere meglio quanto sta accadendo in Catalogna e quali potrebbero essere i possibili scenari.

– Il risultato del referendum che si è tenuto domenica scorsa per l’indipendenza della Catalogna è stato di molto al di sotto delle aspettative. Infatti hanno votato 2.262.424 di aventi diritto su 5,4 milioni, quindi meno della metà degli aventi diritto. Quanto ha influito la repressione che c’è stata da parte delle autorità centrali?
Sicuramente l’intervento della polizia ha mobilitato parecchia gente, che forse non sarebbe neanche andata a votare, quindi di fatto gli indipendentisti hanno raggiunto il massimo del risultato che si potevano aspettare. Ricordiamoci che nel referendum consultivo del 2014 andarono alle urne meno del 40% delle persone, sempre stando ai dati che danno gli indipendentisti, malgrado ci sono foto di persone che hanno votato 5 volte, in diversi paesini hanno dovuto fermare gli scrutini perché risultavano più votanti che residenti. Quindi, in realtà, parliamo di cifre col beneficio di inventario, però sicuramente il fatto che da giorni si parlava di repressione ha mobilitato più cittadini. Questo dato comunque è quello che riescono ad avere”.

-Ha sbagliato la Spagna a intervenire in modo così forte?
Dal punto di vista dell’immagine e degli effetti che questa repressione ha ricevuto, sicuramente sì. Tutti parlano però senza tener conto di un fatto, perché secondo me la maggior parte della gente non ha capito cosa è successo. C’è stata la Corte Costituzionale che ha dichiarato illegale la legge che promuoveva questo referendum, il quale non era di carattere consultivo come quello del 2014, ma aveva carattere vincolante. La legge affermava: andiamo al voto, se vinciamo, il giorno dopo dichiariamo l’indipendenza. Non era più una consultazione vera e propria delle intenzioni dei catalani, ma aveva carattere vincolante. Tant’è che lunedì, anzi martedì, perché la Corte Costituzionale ha sospeso in modo precauzionale la sessione del parlamento catalano, il presidente Carles Puigdemont dovrebbe riferire i risultati del referendum, e quindi, dichiarare l’indipendenza. Quando la legge è stata dichiarata incostituzionale – non solo perché la Costituzione spagnola non ammette secessione, ma perché un referendum vincolante necessità di un quorum di almeno il 50% della popolazione, mentre gli indipendentisti non hanno dato diritto di voto neanche ai residenti stranieri – il Tribunale Supremo Spagnolo di Madrid e di conseguenza quello catalano avevano intimato alle forze di polizia di non far svolgere il referendum illegale. Tutti danno la colpa a Rajoy, ma l’ordine finale è arrivato dai magistrati catalani, non dal governo centrale, il quale ha applicato quello che i magistrati catalani hanno chiesto di fare. Tant’è vero che non doveva intervenire la polizia nazionale, ma i Mossos de Esquadra, ossia il corpo di polizia catalana. Come lei sa, hanno incrociato le braccia, su ordine del loro comandante, ora inquisito e sentito ieri a Madrid, rischiando 15 anni di galera. Ovvio che a livello di immagine quello che è accaduto non è favorevole al Governo, né alle forze non indipendentiste, ma parliamo anche di solamente due ricoverati su 2milioni di partecipanti, uno per una pallottola di gomma in un occhio e l’altro per un infarto all’interno del seggio. Gli altri sono feriti lievi, quindi nulla se paragonato ai numeri di ricoveri dei no-global, per quanto accaduto sabato scorso a Torino. Gli indipendentisti sono stati bravissimi ad usare la rete e i media per far circolare foto e video, che li hanno fatti passare da vittime. Sono stati talmente bravi che poi sono stati scoperti per aver fatto delle truffe, il quotidiano ‘Le Monde’ è uscito con un articolo che dimostra che molte delle foto che circolano in internet, sono in realtà foto di episodi passati”.

– Quindi, quando è diffuso questo sentimento indipendentista? Si tratta di una minoranza rumorosa?
Cercherò di essere il più imparziale possibile. La Catalogna, che non è mai stata una Nazione indipendente, è stato socio fondatore della Spagna, visto che nel 1492 si costituì lo Stato moderno con l’unificazione del Regno di Castiglia con quello di Aragona, del quale la Catalogna faceva parte. Era una contea con capitale prima Ouest e poi Saragoza, due città castigliane parlanti e non catalane. Il paradosso è proprio questo che altre regioni della Spagna, come l’Andalusia che loro non amano, o il paese Valenciano che era un rejno, o l’Andalusia che era ancora terra araba nel momento in cui si costituì la Spagna moderna, non erano ancora dentro ai confini, mentre i catalani sono soci fondatori. Il catalano non è una lingua originale, ma nasce nelle isole Baleari, si sviluppa nella provincia di Valencia e poi si espande fino in Catalogna. Tenga anche presente che i catalani doc oggi saranno meno del 40%. Se lei guarda i nomi di molti leader indipendentisti non hanno nomi catalani, addirittura alcuni non sono nemmeno nati in Catalogna. Quello che hanno raccontato alcuni giornali, quindi, è un falso storico. Che cosa è vero? Che la Catalogna, essendo una regione abbastanza prospera, ha avuto da sempre forti tensioni autonomiste, più che indipendentiste. C’è stato un breve periodo nel 700 in cui in un certo momento si rivoltano contro la Corona spagnola, perché c’era una lotta tra i due pretendenti delle corone, i catalani appoggiavano il pretendente non ufficiale e speravano che la Francia in qualche modo li appoggiassero. Poi persero e la cosa finì lì, ma non è mai stato uno Stato. Quando nel 1975 muore Francisco Franco, il quale fu molto pesante sia in Catalogna che nei Baschi nei confronti di queste autonomie, si costituisce la nuova Spagna democratica e nel ’78 viene indetto il referendum sulla costituzione. Da notare che chi votò maggiormente è stato proprio la Catalogna, in cui quasi l’80% dei votanti si erano espressi favorevolmente, controcorrente al resto del Paese se si pensa che la costituzione passò per pochi voti. La Catalogna è sempre stata una regione fortemente di sinistra, dove ha governato per parecchio tempo CiU, un partito democristiano di centro, grazie alla divisione interna alla sinistra. Questo partito, che è stato capitanato da Jordi Pujol, ha sempre giocato col Governo centrale, appoggiando il potere di turno per ottenere quell’autonomia che solo la Catalogna ha, ad esclusione dei Paesi Baschi che sono sempre stati una realtà aggregata”.

-A proposito di Paesi Baschi, ci sono altre regioni che potrebbero richiedere l’indipendenza?
Le più forti tensioni indipendentiste si sono registrate: nei Paesi Baschi, dove purtroppo sfociarono anche nel terrorismo basco, in Galicia e in Catalogna. I Paesi Baschi hanno una storia totalmente diversa dalla Catalogna, sono un regno che si è aggregato alla Spagna, a partire dalla lingua che nulla ha a che vedere con lo spagnolo – han trovato addirittura similitudini con la lingua etrusca e finlandese – e che hanno ottenuto nel momento della pacificazione quei diritti di cui hanno sempre goduto che sono i foros, una autonomia sulla giustizia, sulle imposte, che è quello che oggi chiedono i catalani. Ciò che sta succedendo è proprio questo: i catalani chiedono di avere la stessa autonomia dei Baschi, ma Madrid risponde di no, perché questa autonomia fortissima i Baschi l’hanno sempre avuta, nei secoli. Lo scontro nasce soprattutto per quanto riguarda le imposte, dove Barcellona fa una legge con la quale si riprende gran parte delle tasse che paga a Madrid e automaticamente il governo centrale la rende incostituzionale. Così loro usano l’arma dell’indipendenza, alla quale speravano di non arrivare mai, considerando quello che sta accadendo. Cioè che aziende, banche ed imprese stanno scappando, consapevoli del fatto che la Catalogna senza la Spagna non sarebbe niente. Poi va considerata anche un’altra vicenda molto delicata, ossia lo scandalo del 3% che per vent’anni la cupola di CiU, ossia il partito di Puigdemont, ha percepito il 3% da tutte le opere realizzate in Catalogna. Nella vicenda è stato coinvolto Pujol, presidente della Catalogna dal 1980 al 2003 un moderato autonomista, ma non indipendentista. Lo scandalo ha travolto tutti i vertici, perché sono stati trovati diversi conti in Andorra e in Svizzera e molto potrebbe emergere ancora il primo gennaio 2018, quando scadrà il segreto bancario dell’Andorra, permettendo alle autorità spagnole di verificare tutti i conti correnti. Quello che adesso sono state solamente alcune prove, possono diventare una valanga. È stata anche questa indagine condotta dalle autorità centrali ad irritare notevolmente la classe politica catalana, che ha coperto per trent’anni questa vicenda”.

– Molte aziende straniere operanti in Catalogna, stanno abbandonando il Paese. Quali sono le difficoltà che potrebbero incontrare gli imprenditori in caso di secessione?
Alcune imprese hanno abbandonato già. Uscendo dall’Unione Europea la prima difficoltà sarebbe quella di trovarsi in una situazione di dover pagare le imposte doganali, non potranno più commerciare liberamente, ma soprattutto c’è il pericolo di un coralitto, cioè che la gente si spaventi e vada in massa a svuotare i conti correnti negli istituti finanziari. Infatti le prime due banche a lasciare la regione sono state proprio due banche catalane: Sabadell e CaixaBank, che hanno compreso il rischio di potersi ritrovare dalla sera alla mattina senza più fondi. La prima si è trasferita ad Alicante e l’altra alle Baleari. E lo hanno già fatto. Poi ci sono tutte le più grosse aziende come la leader nel settore energetico, e la principale impresa di trasporti e comunicazioni che hanno già annunciato che faranno la stessa cosa. Da lì poi deve tener conto che il 40% delle multinazionali, che hanno investito in Spagna, sono in Catalogna e che se un domani divenisse indipendente, sarebbero costrette a spostarsi per non pagare i dazi doganali. Questo è quello che ha fatto più male ai Catalani, molto più questo delle manganellate, perché assomigliano molto ai nostri Lombardi, che sono molto attenti ai soldi in tasca. Anche perché se dovesse diventare una regione autonoma, cosa cambia ad un cittadino catalano? Nulla: può già parlare catalano, che è la prima lingua obbligatoria nelle scuole, nei bandi di concorsi pubblici si è obbligati a conoscere il catalano per poter partecipare ed ha già una propria polizia. Un cittadino catalano è già completamente autonomo in tutto. Se fosse approvata la secessione, non cambierebbe nulla, se non il fatto di poter dire ‘Paese indipendente’. Cambia il tema fiscale, per cui le imposte sarebbero tutte trattenute sul territorio, ma se le banche e le imprese fuggono, sarebbe un caos ed è per questo che stiamo assistendo ad un passo indietro e la tensione è un po’ calata. All’interno dello stesso partito di Puigdemond c’è chi dice ‘fermati’, come ha detto in un’intervista l’assessore all’industria catalano rivolgendosi al presidente. Quindi iniziano le prime crepe”.

– Come ci ha anticipato, «una Catalogna indipendente non sarebbe membro dell’Unione europea. L’Unione europea conosce un solo Stato membro: la Spagna», ha affermato il commissario Ue all’Economia, Pierre Moscovici. Innanzitutto crede che la Catalogna riuscirà ad essere indipendente, ma soprattutto potrà sopravvivere una volta fuori dall’Ue?
Secondo me non si arriverà all’indipendenza per due motivi: primo perché la Catalogna rischia un collasso economico e i Catalani, nonostante sia forte la componente di estrema sinistra che non si interessa di queste cose, sentono questo fattore come il primo dei problemi. Secondo perché la maggioranza dei catalani non vogliono l’indipendenza. Non dobbiamo dimenticarci del 55-60% dei catalani che non vogliono l’indipendenza. È possibile dichiarare l’indipendenza di uno stato con il 90-99% del consenso popolare, ma con un 60% contrario si rischia la guerra civile. Inoltre c’è un altro fattore. Io mercoledì ero a Madrid e un taxista mi ha detto una frase che fotografa perfettamente la realtà: ‘tutti quanti noi abbiamo famiglie spagnole, perché la Catalogna è composta per il 60% da migranti di altre regioni della Spagna’”.

– Non ci sono mai stata, ma immagino che sia un po’ come Milano, visto che anche in Lombardia si vota per l’autonomia, ma non so quanti siano realmente i lombardi…
Ma molto di più di Milano. Noi abbiamo avuto tutti il Nord altamente industrializzato. Sia durante Franco che ha collocato qui molte aziende, per via della posizione strategica al confine con la Francia, sia perché a tutti è interessato tenere calma la Catalogna, questa regione è ancora più industrializzata. Con tutto il rispetto per la Lombardia, ma ci sono industrie anche in Veneto, in Piemonte, in Emilia Romagna, mentre qui sono concentrate. Senza voler offendere la sua sensibilità, c’è una differenza molto importante. Premesso che io non sono leghista e amo tutto il mio Paese, in Italia, in tutti questi anni il divario tra Nord e Sud, malgrado tutti gli investimenti, si è allargato. In Spagna no. Io lavoro con grandi aziende dell’Andalusia, di Valencia e le posso assicurare che il Gap tra il nord e il sud spagnolo è minimo. Questo perché in Spagna non c’è la mafia, la ndrangheta, la camorra, ma soprattutto perché nel sud spagnolo c’è un turismo che ha saputo valorizzare a pieno le proprie risorse e le proprie bellezze. Quindi questa tensione non è giustificata. È vero che loro lamentano di dare a Madrid molto di più di quello che ricevono, ma questo potrebbe dirlo anche la comunità di Valencia, di Leon. Sono molte le comunità che danno di più di ciò che ricevono, non soltanto la Catalogna. È vero che il 20% del Pil si sviluppa in questa regione, ma il gap tra nord e sud si è notevolmente ridotto”.

– Re Filippo VI ha pronunciato un discorso molto duro contro le autorità indipendentiste in Catalogna e a favore dell’unità della Spagna. Ma soprattutto come mai il sovrano non ha nemmeno citato una possibilità di dialogo per risolvere la crisi?
Ma come fa il sovrano di un Paese a dare anche semplicemente un cenno di apertura a chi ha compiuto un atto illegale contro la Costituzione. Nel momento in cui anche il re fa un passo indietro, si viene travolti tutti. Il re non può mettersi contro la Corte costituzionale spagnola. C’è un rapporto tra le istituzioni che non è semplice. Questi hanno palesemente detto ‘io della corte costituzionale me ne frego ’ e non l’ha detto il popolino, ma il presidente della regione della Catalogna. Finché lo dice un partito, o un esponente politico, o la gente in piazza va bene, siamo in democrazia e ognuno dice ciò che vuole. Qui a dirlo e a farlo è stata una carica istituzionale della Spagna. Il re aveva l’obbligo di ribadire che la legge va rispettata. Con quale faccia il re può dire agli spagnoli e alla maggioranza dei catalani di trattare con gli indipendentisti? Era impossibile dal punto di vista istituzionale”.

– Ritiene possibile l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione che prevede la sospensione dell’autonomia catalana?
Lo stato dell’arte è questo: i partiti che sostengono Rajoy sono un po’ divisi su questo punto. Partido de los ciudadanos, in spagnolo partito della cittadinanza, è stata la prima cosa che ha chiesto, mentre il partito socialista non ha ancora trovato un punto d’accordo. Secondo me Rajoy, che è un grande temporeggiatore, applicherà l’articolo 155 nel momento in cui Puigdemont dichiarerà l’indipendenza”.

-Ma crede che ci sarà questa dichiarazione martedì?
A questa domanda le risponderò dopo aver visto la manifestazione non indipendentista di domenica, che è stata promossa da diverse organizzazioni catalane. Se nelle piazze di Barcellona arriverà una marea umana, a quel punto io credo che sarà difficile che Carles Puigdemont dichiari l’indipendenza. Se, invece, la maggioranza non indipendentista ha ancora timore di manifestare, cosa che io dubito, potrebbe esserci. Puigdemont in questo momento si sente un po’ il Braveheart catalano. Il presidente è un politico di quarta fila, nessuno lo conosceva prima. Ora, invece, rischia di passare alla storia perché sarebbe il primo a dichiarare l’indipendenza della Catalogna. Bisognerebbe capire la psicologia di quest’uomo, le pressioni che avrà. Né io né lei, siamo in grado di poterlo dire. Bisognerà aspettare martedì”.