Algeria. A 3 anni dalle rivolte la crisi aumenta. La repressione: feroce

Agenzia Dire

In Algeria, a tre anni dalle rivolte di piazza che hanno messo la parola fine al ventennale governo del presidente Abdelaziz Bouteflika, “la situazione politica e socio-economica è peggiorata: con l’aumento dei prezzi del cibo la gente non riesce neanche a mangiare e la repressione del dissenso ormai è feroce, ma l’hirak è vivo e continua a chiedere democrazia e libertà tramite i social network e le piazze europee”. Ne è convinto Hakim Mohammed Addad, 58 anni, co-fondatore ed ex segretario generale del Rassemblement actions jeunesse (Raj). L’Agenzia Dire lo contatta a Parigi, dove l’attivista risiede dal dicembre scorso.
La sua vicenda personale e quella del Raj dicono molto del clima che pesa sulla società civile algerina: l’Associazione è stata sciolta lo scorso ottobre per violazione del codice sulle Associazioni, una decisione seguita alla richiesta del minsitero dell’Interno di chiudere l’organismo. Quanto al suo co-fandatore, “mi sono trasferito in Francia a dicembre dopo aver scontato 12 mesi di ‘fermo giudiziario’ per le mie attività. Significa- spiega Addad- che per un anno mi è stato vietato partecipare a iniziative pubbliche, incontrare personalità politiche e della società civile o parlare con la stampa. Ogni settimana dovevo recarmi in tribunale per firmare. Già ero stato arrestato e incarcerato per 3 mesi nel 2019, e ora che sono partito, un giudice mi ha condannato ad altri 12 mesi di fermo”.
Un destino, conferma l’ex segretario del Raj, che ha già coinvolto diversi esponenti dell’associazione istituita nel 1992 – anno del colpo di Stato militare – per rivendicare lavoro e opportunità per i giovani. Poi, nel 2019, è stata tra le principali promotrici dell’hirak, il movimento popolare che vide la luce il 22 febbraio per dire no alla quinta candidatura di Bouteflika alla presidenza e che con l’avvento di Abdelmadjid Tebboune alla guida delle istituzioni non ha smesso di invocare riforme democratiche e sociali. “L’hirak è vivo- assicura Addad- ma la repressione negli ultimi mesi si è fatta ancora più terribile: contiamo almeno 350 detenuti d’opinione, 40 dei quali sono in sciopero della fame”.
Come riferisce ancora Hakim Mohammed Addad, arresti e incarcerazioni si intensificano in occasione di date commemorative particolari, prima tra tutte quella odierna: “Non solo è vietato organizzare manifestazioni contro il governo- avverte l’attivista- ma giovani e studenti vivono nel timore di essere arrestati per un post su Facebook o solo perché camminano per la strada: la polizia potrebbe sospettare che si stiano dirigendo verso un corteo. Sappiamo che stamani a Bejaia (principale città della Kabilya, regione storicamente in contrasto con le istituzioni centrali, ndr) un bus di studenti è stato dirottato verso un commissariato per accertamenti”.
L’attivista riferisce che i presunti dimostranti potrebbero essere accusati di attentato alla sicurezza nazionale e all’integrità del Paese o di organizzazione di manifestazione non autorizzata. Reati le cui pene sono state inasprite dalla recente riforma del codice penale: “Ora le organizzazioni sospettate di ‘mettere in discussione le autorità’ possono essere accusate di terrorismo: si va da un minimo di 10 anni di carcere all’ergastolo” dice Addad.
E conclude: “Continuiamo a mobilitarci a Parigi, Bruxelles e Ginevra con sit-in settimanali, consapevoli che non ci saranno riforme economiche senza prima quelle politiche e democratiche. Sabato prossimo ad esempio, ci sarà un meeting di solidarietà internazionale a Parigi. Se le ong come Amnesty International o Human Rights watch sono le prime a denunciare violazioni, I governi europei hanno una doppia faccia: da una parte, danno lezioni sui diritti umani su certi Paesi, mentre dall’altra tacciono quando denunciare significherebbe intaccare i propri interessi economici. E’ una condotta criminale e inaccettabile”.