Ambiente. A 30 anni dal Rapporto Brundtland: pare nessuno lo abbia letto

di C. Alessandro Mauceri

A giungo è stata celebrata la Giornata mondiale dell’Ambiente. Il giorno 8 dello stesso mese è stata la volta della Giornata degli Oceani, essenziali per la vita del pianeta. Il 16 giugno si è svolta la Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione. E nel frattempo a Bologna si sono svolti i lavori del G7 Ambiente: i rappresentanti dei paesi che producono (e inquinano) di più al mondo si sono incontrati per affrontare temi legati allo sviluppo “sostenibile”.
“Qui si tratta di continuare un percorso comune su tanti temi che non sono solo i cambiamenti climatici – ha ribadito a Bologna il ministro Galletti – . Discutiamo di marine litter, di Africa, di finanza verde. Poi le posizioni su Parigi sono distanti, ma l’importante è non perdersi. In ambiente o si vince tutti insieme o si perde tutti”. Mentre i maggiori leader mondiali cercavano di trovare una soluzione per la “sostenibilità”.
Il termine sostenibilità legato all’ambiente è stato introdotto oltre un trentennio fa: nel 1983 le Nazioni Unite istituirono una Commissione Internazionale per l’Ambiente e lo Sviluppo. Furono necessari ben quattro anni per definire “sviluppo sostenibile quello sviluppo che soddisfa i bisogni della generazione presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”. I lavori della Commissione Brundtland furono completati nel 1987, quando venne reso pubblico un rapporto di trecento pagine dal titolo “Our Common Future” (“Il futuro di noi tutti”) meglio noto come Rapporto Brundtland, dal nome della presidente, la primo ministro norvegese Gro Harem Brundtland. http://www.un-documents.net/our-common-future.pdf
Con quel documento la Commissione Brundtland indicava i punti focali sui quali intervenire per rendere “sostenibile” lo sviluppo: risorse energetiche non rinnovabili, problemi legati all’inquinamento, il problema dell’alimentazione e della creazione di cibo a sufficienza per tutti gli abitanti del pianeta, i problemi legati all’erosione dei suoli, la scarsità di risorse naturali e di cibo legata al crescere dei costi, i problemi sociali legati alla famiglia, i cambiamenti negli stili di vita (anche in funzione dei consumi, la necessità di abbattere l’inquinamento. Interventi che avrebbero dovuto essere realizzati tempestivamente in modo da realizzare una “rivoluzione sostenibile” di lunga durata.
Ma gli sforzi per rendere “sostenibili” i cambiamenti non cessarono. Il rapporto venne aggiornato diverse volte: nel 1992 fu pubblicato Beyond the Limits (oltre i limiti), un documento nel quale si sosteneva che erano già stati superati i limiti della “capacità di carico” del pianeta. Poi, nel 2004, venne pubblicato un nuovo aggiornamento, Limits to Growth: The 30-Year Update che ribadiva e confermava i pericoli e i limiti ormai superati di “sostenibilità”.
Al di là dei rapporti delle Nazioni Unite (e nonostante il negazionismo americano degli ultimi mesi), la gravità della situazione è ben chiara a tutti. Proprio in relazione alle emissioni di gas serra, cioè quello che secondo i documenti ufficiali sarebbe l’ennesimo fallimento degli incontri del G7 Ambiente di Bologna di pochi giorni fa, un recente studio dal titolo “Historical greenhouse gas concentrations for climate modelling (CMIP6)” ha “confermato l’aumento inarrestabile di molti dei più importanti gas serra” basandosi sulla misurazione di 43 gas serra gas serra atmosferici.
Secondo i ricercatori, i dati dei carotaggi nelle calotte di ghiaccio “dimostrano che l’effetto complessivo del riscaldamento odierno di anidride carbonica (CO2), metano (CH4) ossido di azoto (N2O) è più alto che in qualsiasi momento nel corso degli ultimi 800mila anni”.
La verità è che nessuno dei problemi contenuti nel Rapporto Brundtland è stato preso seriamente in considerazione e nessuno dei paesi maggiormente responsabili dell’inquinamento globale ha mai fatto niente per arrestare questo processo. Né quelli legati allo sviluppo sociale. Le risorse non rinnovabili continuano ad essere alla base delle fonti energetiche e il loro utilizzo non sta diminuendo, anzi. I progressi raggiunti intorno alla fine del XX secolo si sono bruscamente interrotti nella prima metà del XXI secolo. Di conseguenza sono aumentati i problemi legati all’inquinamento con drastiche conseguenze sulla diminuzione della fertilità della terra causata, ad es, da accumulo di metalli pesanti o sostanze chimiche di sintesi a lunga persistenza, acidificazione delle piogge, alterazioni climatiche, assottigliamento dello strato di ozono.
Tutto questo si inserisce in uno scenario che appare assurdo quando si parla di crisi delle risorse alimentari: contrariamente a quanto si pensava, l’agricoltura intensiva non servirà affatto a produrre più cibo. A lungo andare questo modo di sfruttare le risorse naturali è insostenibile e il ricorso a sostanze chimiche e additivi non fa che peggiorare la situazione e danneggiare l’ambiente in modo irreversibile. Questo sfruttamento non sostenibile delle risorse agricole insieme ai cambiamenti climatici stanno rendendo insostenibile anche lo sfruttamento delle risorse idriche: a fronte di una buona riserva di acqua dolce globale, l’inquinamento delle falde acquifere e gli sprechi, insieme con cambiamenti climatici innegabili, stanno causando vere e proprie guerre per l’accesso all’acqua.
In molte zone del pianeta scarsità di risorse naturali e di cibo e costi crescenti stanno alimentando focolai di rivolta che si scatenano anche grazie ad una diffusione di armi e armamenti senza precedenti nella storia dell’umanità. Anche l’ipotesi che “tutti”, nel mondo, non andassero oltre i consumi medi dell’anno 2000 non si è dimostrata realistica: a fronte di un limite ai consumi legato alle reali necessità e alla sostenibilità, la maggior parte della popolazione mondiale è da molti decenni soggetta a continui attacchi mediatici finalizzati a favorire un consumismo sfrenato che però ha ripercussioni notevoli sulle riserve di materie prime e sull’inquinamento. Già nel 1987 fu chiaro che a fronte di iniziali benefici macroeconomici (quelli promessi da Keynes), si giunge comunque ad un collasso a causa di un’impronta ecologica troppo elevata.
Tutte misure non solo necessarie ma da realizzare con tempestività: già allora si ipotizzava che le azioni proposte (programmazione familiare, moderazione degli stili di vita, abbattimento dell’inquinamento, accrescimento della resa delle terre con tutela dei suoli, utilizzo più efficiente delle risorse) avrebbero dovuto essere già in atto dal 1982. Oggi, dopo trent’anni dalla pubblicazione del Rapporto Brundtland, invece, pare che nessuno lo abbia mai letto. E soprattutto che nessuno abbia mai compreso quello che, forse era il concetto base contenuto nelle raccomandazioni inserite nel rapporto: ovvero l’idea che le risorse della Terra non sono illimitate, ma al contrario sono finite. E che, quindi, è necessario agire in modo opportuno e fare in modo che gli effetti negativi dello sviluppo non diventino più pesanti di quanto la Terra sia pronta a “sostenere”.