Apec. Per Xi la globalizzazione serve ma deve essere equa. Trump vede Putin

di Guido Keller –

Si sono proiettate in Vietnam al vertice Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation) le visioni distinte e distanti di Donald Trump e di Xi Jinping. Il tema è quello della globalizzazione, che per il presidente cinese continua a rappresentare una conquista irrinunciabile per lo sviluppo dell’umanità, mentre per l’inquilino della Casa Bianca è una minaccia al suo “America First!”, per cui sono necessari protezionismo e politiche che frenino la delocalizzazione. Diversità di vedute che si sono tradotte in uno scontro neanche troppo velato, se si pensa che a Da Nang è stato raggiunto un accordo di massima in merito agli aspetti principali sul commercio tra i Paesi Apec senza gli Stati Uniti, che tra l’altro si sono tirati indietro da ogni possibile collaborazione transoceanica già dopo l’elezione di Trump.
Non solo: lo staff del presidente Usa ha anche annullato la sua partecipazione alla riunione dei dirigenti economici dell’associazione con i membri del consiglio di consulenza degli affari, tavolo al quale lo ha sostituito il rappresentante commerciale Robert Lightheiser. Non è tuttavia un mistero che più delle riunioni di gruppo dove conta come gli altri, a Trump piacciano le pacche sulle spalle e i confronti a due, così dal Vietnam è tornato ad attaccare la Corea del Nord, ormai un mantra, come se quello fosse il tema centrale di un vertice economico che ha raccolto 11 nazioni le quali detengono il 60% dell’economia mondiale.
D’altro canto Trump si sta dimostrando abilissimo a riscaldare gli scenari regionali e a vendere armi e missili da difesa, e numerosi accordi sono stati siglati nel suo viaggio ad oriente con Giappone e Corea del Sud, e dopo il Vietnam sarà nelle Filippine. Per cui il presidente Usa è tornato a dire che “Non dobbiamo restare ostaggio delle fantasie contorte di un dittatore di conquista violenta e di ricatto nucleare”: “Per ogni passo che il regime nordcoreano fa verso più armi, è uno verso un pericolo sempre più grande”. Per cui tutte le nazioni civilizzate devono “muoversi insieme” e spingere fuori dalla nostra società terroristi ed estremisti.
Xi, l’unico vero antagonista di Trump, in grado di tenergli capo e di impressionarlo con la sua potenza economica (350 miliardi di surplus commerciale con gli Usa), è rimasto legato al tema dell’incontro ed ha parlato della globalizzazione come “un trend storico e irreversibile”, ma anche della necessità che ia “più aperta, equa e bilanciata”, con l’obiettivo di “lottare contro le diseguaglianze e alla povertà”.
Il presidente cinese ha tuttavia osservato, con evidente riferimento alla politica di Trump, che l’apertura “porta progresso, l’autoesclusione lascia indietro. Noi, le economie della regione Asia- Pacifico, conosciamo bene questo fenomeno grazie alla nostra stessa esperienza”.
Se Trump era quasi a disagio nel confortarsi su cifre e commercio, diverso è stato l’atteggiamento incontrando il presidente russo Vladimir Putin: una pacca sulla spalla, poi un tu per tu nel quale si è parlato di Siria ma anche sei Russiagate, l’affaire che è arrivato ad investire Stephen Miller, consigliere politico del presidente e figura di primissimo piano alla Casa Bianca. I due leader si sono detti d’accordo che la soluzione della crisi siriana deve essere politica, e che va ricercata attraverso il dialogo e il coinvolgimento delle parti.
Trump ha poi riferito che il presidente russo ha negato ancora una volta di essersi intromesso nelle elezioni americane del 2016, e sul suo aereo ha poi detto ai giornalisti che “Ogni volta che mi vede mi dice: ‘Non l’ho fatto’, credo veramente che ne sia convinto”.