Apocalisse nello Yemen. Intervista ad Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia

di Vanessa Tomassini

Nello Yemen sono trascorsi oltre mille giorni di conflitto, e sotto le bombe della coalizione guidata dai sauditi migliaia di famiglie piangono i loro cari e sono costrette ad abbandonare le proprie case. Si tratta di una crisi umanitaria senza precedenti, la peggiore degli ultimi 50 anni. Il protrarsi delle ostilità ha portato al collasso delle reti idriche e fognarie, di tutte le infrastrutture del Paese più povero del mondo arabo, oggi sull’orlo di una carestia. Insomma, uno scenario apocalittico, dove a pagarne maggiormente le spese sono come sempre i soggetti più vulnerabili: i bambini, costretti a più di mille giorni di sofferenze inenarrabili. Ne parliamo con Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia.

– Mark Lowcock, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari e coordinatore delle emergenze, ha dichiarato che “la situazione nello Yemen assomiglia all’apocalisse”. Ci aiuta a spiegare cosa sta accadendo?
“Innanzitutto confermo quanto detto e aggiungo che lo Yemen è la nuova Siria. Parliamo di un conflitto che, esattamente come la Siria, subisce lo stesso ciclo di disinteresse e disattenzione da parte della comunità internazionale. Quello che sta accadendo in questo Paese a bambini, donne e uomini, ospedali e scuole, è qualcosa di veramente tragico, di cui bisognerebbe parlare e raccontare, perché i fondi per gli aiuti sono sottostimati; perché sono in corso non soltanto bombardamenti, non soltanto guerre, ma anche gravi epidemie che mettono a dura prova la resistenza. Anzi, direi che la resistenza non c’è più. Si parla di apocalisse in quanto si tratta di una situazione che va avanti da tre anni, oramai. Questo traguardo di mille giorni di guerra in Yemen è impressionante per la mancanza di cibo, di acqua, per il diffondersi di malattie come il colera. Io voglio solo ricordare che nell’ultimo anno si è parlato di un milione di persone potenzialmente colpite dal colera, con oltre 2000 morti, a cui si aggiungono i 40mila bambini che ogni anno muoiono a causa di malattie incurabili, essendo un Paese estremamente povero. Quella che inizialmente era una crisi umanitaria, oggi è una catastrofe”.

– I raid aerei della coalizione guidata dai sauditi e un blocco debilitante sui porti aerei e marittimi del paese hanno privato vaste aree di cibo, carburante e medicine. Tale blocco sarebbe stato alleggerito per le forti pressioni internazionali. Qual è la situazione oggi?
“Quello che noi sappiam, ed è una notizia di una settimana fa e quindi abbastanza recente, è che sono stati fatti alcuni progressi con le prime importazioni di carburante, proprio grazie al porto di Hudayda, che è quello che era stato chiuso. Queste susseguono anche a delle importazioni di cibo. Ci sono quindi delle scorte che sono state consegnate e che non devono essere sprecate perché ci sono delle forti restrizioni sull’importazione di carburante che hanno portato anche addirittura al raddoppio dei prezzi. Ci sono state minacce all’accesso all’acqua potabile, ai servizi sanitari e alle cure mediche, quindi è chiaro che qualche progresso c’è. Tuttavia c’è un gran numero di stazioni di pompaggio dell’acqua, per fare solo un esempio, che stanno senza carburante proprio a causa di questi blocchi. La situazione non è sicuramente in miglioramento però l’apertura di questo porto ci ha consentito di far arrivare alcuni aiuti in alcune zone tra l’altro difficili da raggiungere. Anche perché con il peggiorare delle condizioni, la nostra risposta diviene sempre più difficile. Se noi non abbiamo un accesso più ampio e le violenze non si fermano, è chiaro che il prezzo in termini di vite umane sarà incalcolabile. Questo è quello che più ci preoccupa”.

– Sui giornali è stato scritto di tutto, oltre all’Arabia Saudita vi è la responsabilità di altri Stati secondo lei?
“Non è nel mio ruolo dare delle responsabilità. Purtroppo quando ci sono delle guerre come questa i responsabili sono tutti: quelli che non l’hanno fermata, quelli che non si riescono ad incontrare nelle sedi opportune come è accaduto per la Sira e non riescono a trovare delle soluzioni, quelli che sono dietro questi attacchi. Secondo me anche qui rischiamo un’altra bella polveriera come quella siriana, dove le grandi potenze non decidono, lo scacchiere vede sempre le fazioni una contro l’altra, armate da superpotenze come Arabia Saudita e Iran, ma chi ci rimettono sono le popolazioni ed in particolare i bambini. Quando si parla di guerra, di mille giorni di guerra, senza cibo, acqua potabile, ospedali e scuole bombardati, bambini arruolati per combattere e morti, secondo me i responsabili sono tutti”.

– Cosa sta facendo Unicef sul campo e quali sono le raccomandazioni, o meglio la strategia, che le Nazioni Unite suggeriscono?
“Come Nazioni Unite chiediamo un immediato cessate il fuoco, facciamo appello alle potenze impegnate in questo conflitto affinché consentano all’Unicef e alle altre organizzazioni umanitarie di accedere alle zone più difficili da raggiungere. Fino ad oggi, siamo riusciti a prestare aiuto a 6 milioni di persone: abbiamo portato acqua pulita, distribuito 3 milioni e mezzo di litri di carburante agli ospedali (molti dei quali sono stati bombardati), abbiamo curato 200mila bambini colpiti da malnutrizione acuta grave e distribuito 2mila e 700 tonnellate di medicine e scorte mediche. A questo va aggiunto la vaccinazione di massa, la più grande mai realizzata, in quanto questa epidemia di colera è seconda soltanto a quella scoppiata ad Haiti durante il terremoto. Abbiamo vaccinato 5 milioni di bambini contro la polioed abbiamo fornito aiuti a 7milioni di persone in un solo mese. Quindi è chiaro che c’è ancora molto da fare: il numero di persone raggiunte è nettamente inferiore a quello avente bisogno, basti pensare che lo Yemen ha una popolazione che supera i 20 milioni di abitanti ed oltre la metà sono bambini, una componente vastissima, ma almeno siamo riusciti a fare questi interventi. L’appello che facciamo alle potenze internazionali è di concedere immediatamente l’accesso umanitario e metter fine immediatamente ai combattimenti, trovando una soluzione pacifica. I bambini in Yemen non dovrebbero vivere nemmeno un giorno di guerra, figuriamoci se debbano viverne altri mille come quelli che abbiamo visto fino ad oggi”.