Arabia Saudita. Droni houthi colpiscono il più grande impianto di lavorazione del petrolio

Produzione ridotta della metà, quasi certi gli aumenti alla pompa.

di Nunzio Messere

Con un clamoroso attacco realizzato nella notte con 10 droni i ribelli yemeniti houthi hanno colpito oggi due strutture petrolifere saudite, di cui il più grande impianto per il trattamento del greggio, a Buqyak, e il campo di estrazione di Hijra Khurais della Saudi Aramco. Al momento viene riportato solo di feriti, ma i danni sono ingenti al punto che l’impianto di Buqyak sarà costretto a ridurre di circa la metà la produzione giornaliera, cioè una perdita di 5 milioni di barili al giorno pari al 5% della produzione globale, con un inevitabile aumento dei prezzi alla pompa.
A parte alcuni missili lanciati sulla capitale Ryad o su altri centri, peraltro con pochi danni e vittime, i ribelli houthi hanno tentato in questi mesi di colpire gli oleodotti con droni procurati sicuramente dall’Iran, ma è la prima volta che vengono attaccati impianti di tale portata procurando danni consistenti con riflessi sulla stessa economia saudita. In un attacco simile risalente al 17 agosto droni houthi avevano colpito il giacimento di gas di Shaybah, procurando un incendio subito contenuto, mentre il 14 maggio aerei teleguidati avevano centrato due stazioni di pompaggio in un gasdotto est-ovest, subito riparato.
Quanto accaduto rientra nella crisi dello Yemen, una guerra che ha preso il via nel gennaio 2015 a seguito del golpe degli houthi (sciiti), dietro al quale vi è l’Iran: per mesi i ribelli avevano chiesto invano alcuni riconoscimenti come l’inserimento di 20mila appartenenti alla minoranza sciita nelle forze armate governative, l’assegnazione di 10 ministeri e l’inclusione nella regione di Azal, di Hajja e dei governatorati di al-Jaw.
L’Arabia Saudita è intervenuta militarmente contro i ribelli houthi guidando una coalizione a cui fino a poco partecipavano Egitto, Sudan, Giordania, Marocco, Bahrain, Qatar e Emirati Arabi Uniti.
Il Qatar è stato espulso dalla stessa coalizione lo scorso anno a causa dei contrasti con le altre monarchie del Golfo e soprattutto la sua alleanza, necessaria per prevenire l’isolamento geografico totale, con l’Iran, mentre il Sudan si è trovato alle prese con i problemi interni che hanno portato alla caduta della trentennale dittatura di Omar al-Bashir. Dopo la visita in agosto di una delegazione emiratina a Teheran, anche gli Emirati Arabi hanno preso a giocare su due tavoli, e per quanto lo strappo con i sauditi si sia in qualche modo ricomposto, i ribelli del sud sostenuti da Abu Dhabi hanno conquistato territori, città e pozzi controllati dai governativi, compresa la stessa Aden, divenendo il terso attore del conflitto. Aden è stata per lungo tempo la roccaforte del presidente riconosciuto Abd Rabbo Mansour Hadi, lì rifugiatosi con i suoi dopo aver lascato la capitale Sanaa, conquistata dagli houthi.
Si è parlato anche di un accordo fra gli Emirati e l’Iran per spaccare in due il paese, con zona nord e zona sud sotto le due influenze.
I bombardamenti e gli attacchi sul terreno sauditi non hanno portato fino ad oggi a nessun risultato, mentre hanno causato migliaia di vittime civili (sono persino state colpite scuole) e contribuito a spingere il paese in una gravissima crisi umanitaria, con scarsità di acqua e di viveri e la diffusione di epidemie come il colera. L’embargo posto via mare dai sauditi ha per diverso tempo bloccato persino i rifornimenti dell’Onu.
Dall’attacco di oggi si evince l’evoluzione delle capacità militari degli houthi nonché la preparazione di personale in grado di teleguidare i droni.