Arabia Saudita, Egitto, Bahrein e Yemen accusano il Qatar di terrorismo: chiuse le relazioni diplomatiche

di Enrico Oliari

Che il Qatar, con la sua monarchia, con il suo potere economico e con il suo media panarabo fossero il bancomat dell’Isis lo si è sempre saputo, basti pensare che già 25 agosto 2014 all’allora ministro dello Sviluppo tedesco Gerd Mueller, subito ripreso da una furiosa Angela Merkel, era scappato in un dibattito sulla Zdf: “Un suggerimento: chi finanzia queste truppe dell’Isil? Il Qatar”.
Il Qatar, cioè quel paese che fa affari d’oro con l’occidente, compra palazzi a Milano, un ospedale in Sardegna e mette le mani un po’ su tutto dal calcio all’alta finanza, è insomma un paese non da oggi accusato di avere legami stretti, strettissimi con lo Stato Islamico, ma sarebbe semplicistico ascrivere ogni responsabilità del caos in Medio Oriente e del terrorismo jihadista al piccolo emirato.
Fatto sta che oggi Arabia Saudita, Bahrein, Yemen ed Egitto hanno rotto ogni relazione diplomatica con il Qatar, hanno chiuso le frontiere comprese quelle di cielo ed hanno imposto ai rappresentanti diplomatici di lasciare i rispettivi paesi entro 48 ore.
L’accusa è quella di fomentare il terrorismo nei paesi circostanti al fine di destabilizzarli, ma anche di sostenere formazioni politiche radicali come i Fratelli Musulmani, ed immediatamente Doha è stata espulsa dalla coalizione a guida saudita che sta intervenendo nello Yemen contro i ribelli houthi, appoggiati dall’Iran.
Alla base delle accuse dei vicini, in particolare dei Sauditi, vi sarebbero presunti contatti con il nemico di tutti, l’Iran, tesi supportata da alcuni recenti articoli dell’emiro del Qatar, Tamin bin Hamad al-Thani, in cui ha espresso dure critiche a quella che è la retorica anti-iraniana dei paesi del Golfo ma anche dell’amministrazione Trump.
Da parte della casa reale gli articoli sono stati smentiti e bollati come “fake news”, ma quella crepa atavica che attraversa la penisola arabica si è oggi allargata in modo forse irreparabile, e sarà già molto se i dissidi dei qatarini con i sauditi, sempre giocati su altri scacchieri (si pensi alle Primavere Arabe e all’Egitto di Mohammed Morsi), non arriveranno a tradursi in un conflitto armato tra le due potenze economiche e del petrolio.
Subito il segretario di Stato Usa Rex Tillerson ha rivolto un appello a stemperare gli animi, a superare le divergenze e a ritrovare l’unità, soprattutto nel Consiglio di cooperazione del Golfo ed in tale momento di crisi nell’area, ma la verità è che da quelle parti, proprio in materia di terrorismo e di interessi sporchi, il migliore ha la rogna.
Già agli inizi del 2015 Notizie Geopolitiche aveva parlato dell’Isis come di “un esperimento di Usa, Qatar e Turchia finito male“, ma è palese che il terrorismo come pure il radicalismo politico islamico, a cominciare da al-Qaeda e dalle sue diramazioni come Jabat Fatah al-Sham (ex al-Nusra) in Siria, siano espressioni o effetti collaterali di più paesi e dei loro interessi.
Se al-Qaeda ha da sempre la sua base in Arabia Saudita, dalla Turchia sono transitati decine di migliaia di foreign fighters perlomeno fino allo scorso anno, come pure armi ed equipaggiamenti diretti in Siria e petrolio proveniente dalle zone controllate dall’Isis. In Bahrein, paese a maggioranza sciita ma con al vertice un’oligarchia sunnita, la Primavera araba è stata soffocata nel sangue e nel più completo silenzio della comunità occidentale e araba, l’Egitto oggi appoggia in Libia Khalifa Haftar e quindi il governo opposto a quello riconosciuto dalla comunità internazionale.
Egitto, Qatar, Arabia Saudita, Bahrein… paesi che Donald Trump non ha messo nel suo “Muslim ban” (quasi tutti gli attentatori dell’11 Settembre erano sauditi), proprio perchè con essi permangono interessi e intese, nonostante il terrorismo, anche quello che colpisce nelle piazze europee, nasca proprio nel torbido di quei paesi e di quelle monarchie.