Batosta dell’Ocse, ‘Gli italiani laureati hanno in media un più basso tasso di competenze’

di C. Alessandro Mauceri –

È stato pubblicato giovedì 5 ottobre il rapporto sulla “Strategia per le competenze” dei paesi Ocse. “L’Italia ha bisogno definire rapidamente una strategia di sviluppo delle competenze che promuova lo sviluppo in tutto il territorio nazionale. La domanda di competenze (skills), specie nei paesi sviluppati, risente e si adatta continuamente alla globalizzazione, al cambiamento tecnologico ed allo sviluppo demografico”, hanno detto gli esperti, aggiungendo che “In questo contesto l’Italia sta avendo più difficoltà rispetto ad altri paesi avanzati a completare la transizione verso una società dinamica, fondata sulle competenze”. Un processo molto più lento anche di quello del “dopoguerra, quando l’Italia è cresciuta a ritmo serrato riuscendo a convergere rapidamente verso le economie più ricche del mondo”. Ora il Bel Paese, sotto la guida di leader che promettevano di recuperare il tempo perduto, vede invece ampliarsi il gap che li separa da altri paesi Ocse. “Negli ultimi quindici anni, la performance economica dell’Italia è apparsa piuttosto fiacca”.
Causa principale è il problema degli skills mismatch che “si verifica quando le competenze di un lavoratore non sono allineate con quelle richieste per compiere uno specifico lavoro”. In altre parole gli italiani non sanno compiere i lavori per cui c’è offerta. A dimostrarlo sarebbe anche il fatto che “Gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze” in lettura e matematica (26esimo posto su 29 paesi Ocse). E quelli che si laureano spesso finiscono per essere “bistrattati’” L’Italia è “l’unico Paese del G7” in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non di routine.
La responsabilità è prima di tutto dell’istruzione. “Circa il 6% dei lavoratori possiede competenze basse rispetto alle mansioni svolte, mentre il 21% è sotto qualificato”.
Se da un lato è vero che “l’Italia, negli ultimi anni, ha fatto notevoli passi in avanti nel miglioramento della qualità dell’istruzione”, dall’altro è pur vero che esistono ancora enormi differenze tra l’Italia e gli altri paesi Ocse e soprattutto all’interno dei confini nazionali: “le regioni del Sud che restano molto indietro rispetto alle altre”, tanto che “il divario della performance in “Pisa” (gli standard internazionali di valutazione) tra gli studenti della provincia autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a più di un anno scolastico” e “Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%”.
Ma non basta. Manca un legame tra istruzione, educazione e formazione e mondo del lavoro: “il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi”.
Gli effetti su tutto il paese non possono non essere negativi. In barba alle promesse e ai vanti di tutti i premier che si sono succeduti, negli ultimi quindici anni la performance economica dell’Italia appare “piuttosto fiacca”: “la produttività è rimasta stagnante, anche a causa di un livello di competenze relativamente basso, di una debole domanda di competenze avanzate e di un uso limitato delle competenze disponibili”.
Gli esperti dell’Ocse non si sono limitati a valutare la situazione dell’Italia ma hanno anche proposto “un quadro strategico per affrontare il basso equilibrio delle competenze (low skills equilibrium)” in cui si trova il paese. Un piano fondato su quattro pilastri: sviluppare competenze rilevanti; attivare l’offerta delle competenze; utilizzare le competenze in modo efficace e rafforzare il sistema delle competenze. All’interno di questo quadro, l’Ocse ha identificato 10 “sfide” per cercare almeno di colmare il gap che separa l’Italia dagli altri paesi Ocse.
A cominciare dal “Fornire ai giovani di tutto il paese le competenze necessarie per continuare a studiare e per la vita”; tornano in mente i casi di baronaggio denunciati nelle scorse settimane e la corsa a carche politiche di un numero sempre maggiore di professori universitari. E poi “Aumentare l’accesso all’istruzione universitaria e al contempo migliorare la qualità e la pertinenza delle competenze”. Da decenni si continua a ripetere che molti atenei sono arretrati e che i contenuti dei corsi non permettono agli studenti di acquisire le conoscenze fondamentali per spendere i crediti acquisiti sul mondo del lavoro.
Altro punto fondamentale la riqualificazione professionale delle persone adulte. Anche rimuovendo “gli ostacoli all’attivazione delle competenze sul mercato del lavoro sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta” che incoraggiando “una maggiore partecipazione da parte delle donne e dei giovani nel mercato del lavoro”.
Se la situazione dell’occupazione giovanile è grave quella dell’occupazione femminile è anche peggiore: “Tra i paesi membri dell’Ocse, l’Italia è al quartultimo posto per percentuale di donne occupate. Dato preoccupante, molte donne non sono neanche alla ricerca di un posto di lavoro, ciò fa sì che l’Italia faccia registrare il terzo tasso di inattività più alto”.
È indispensabile “utilizzare meglio le competenze sul posto di lavoro” e “far leva sulle competenze per promuovere l’innovazione” anche rafforzando “la governance multilivello e i partenariati al fine di migliorare il sistema delle competenze
Ultimo ma non meno importante è necessario “investire per potenziare le competenze”.
Tutti suggerimenti di cui ogni leader, ministro o premier dovrebbe fare tesoro. Peccato che nella manovra presentata nei giorni scorsi al Parlamento dal ministro dell’Economia Padoan di tutto questo non si trovi traccia….