Birmania. Mezzo milione di persone in fuga… passando sui campi minati della frontiera

di C. Alessandro Mauceri –

Da tempo il governo del Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi ha messo in atto azioni estremamente violente contro la minoranza Rohingya. Una circostanza che nelle ultime settimane ha spinto centinaia di migliaia di profughi a cercare rifugio nei paesi vicini, tant’è che negli ultimi due mesi oltre 400mila Rohingya sono scappati dal Myanmar diretti verso il Bangladesh. E il 60% di loro sono bambini. “Il numero cospicuo di rifugiati ha messo sotto pressione i campi per rifugiati preesistenti, con i nuovi arrivati che cercano un rifugio ovunque trovino spazio”, ha dichiarato l’Unicef.
Negli ultimi giorni sono stati riportati numerosi casi di rifugiati morti o feriti a causa delle mine antiuomo disseminate alla frontiera per assicurarsi che queste persone non possano tornare in Birmania o peggio per infliggere loro ulteriori danni.
In barba alla Convenzione sul divieto di impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione firmata dal molti paesi nel 1997 (ma entrata in vigore nel 1999), in molti paesi del mondo il ricorso a questo tipo di ordigni non sembra voler cessare. La Birmania, sebbene guidata da Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace, non ha mai sottoscritto questa Convenzione. Secondo Amnesty International, il Myanmar è oggi uno dei pochi paesi (insieme a Corea del Nord e Siria), che negli ultimi anni ha fatto uso apertamente di mine antiuomo. In base ai dati forniti dagli attivisti di Mine Free Myanmar, sono 40mila le persone ferite o mutilate da questi ordigni. I dati ufficiali, parlano di un numero minore ma sempre enorme di vittime: 3.700 le persone colpite da mine dal 1999, di cui ben 159 solo nel 2015. E con i casi recenti il loro numero è destinato a crescere ancora.
“Forse, in questi giorni, l’uso di mine antipersona può essere che sia aumentato, ma in passato è sempre stato presente”, ha detto Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine, in una recente intervista.
Uno dei principali problemi di queste armi è che, dato che rimangono attive e crudelmente efficaci per decenni, non sempre è facile risalire ai responsabili, ovvero a chi ha minato un’area. È per questo motivo che è estremamente difficile verificare chi siano realmente i responsabili di queste azioni.
Fonti militari del Myanmar hanno dichiarato che le mine terrestri sarebbero quelle poste lungo il confine negli anni ’90 durante la precedente dittatura. Di diverso avviso i funzionari del Bangladesh e i ricercatori di Amnesty International che hanno riportato alla Reuters le dichiarazioni di alcune fonti che confermerebbero che le forze di sicurezza del Myanmar hanno posizionato recentemente mine antiuomo lungo la recinzione di filo spinato alla frontiera. Una notizia confermata da alcuni rifugiati che hanno dichiarato alla Reuters di aver visto soldati dell’esercito di Myanmar nello stesso luogo dove poche ore dopo si sono verificate esplosioni che hanno causato feriti. “Non sappiamo se si trattava di mine antiuomo, ma so che ci sono stati casi isolati di soldati di Myanmar che hanno piantato esplosivi tre o quattro giorni fa”, ha dichiarato il colonnello Sm Ariful Islam, comandante della guardia del confine del Bangladesh a Teknaf, in un’intervista riportata dal Times.
Anche Tirana Hassan, direttrice di Amnesty International per le risposte alle crisi, ha affermato che il ricorso a queste bombe è avvenuto in un periodo recente, coincidente con l’esodo dei Rohingya oltre il confine con il Bangladesh. “Tutti i dati mostrano che le forze di sicurezza del Myanmar hanno deliberatamente posizionato gli ordigni nei luoghi che i rifugiati Rohingya utilizzano come punti di attraversamento”, ha dichiarato Tirana Hassan.
Fonti ufficiali del governo si sono rifiutate di commentare gli eventi dei giorni scorsi, ed il portavoce presidenziale del Myanmar, Zaw Htay, non ha risposto alle domande e lo stesso hanno fatto alcuni ufficiali della polizia della guardia di frontiera nel nord di Maungdaw, vicino al confine con il Bangladesh. Myat Min-oo, portavoce militare, ha dichiarato di non poter commentare senza prima aver ricevuto indicazioni dai propri superiori.
La stessa Suu Kyi ha più volte ribadito che quella riguardante l’uso delle mine e la persecuzione della minoranza Rohinya è una notizia priva di fondamento. Erano in molti a sperare che, dopo l’ascesa al governo del Premio Nobel della Pace, il ricorso a questi ordigni sarebbe cessato e che si sarebbe provveduto a bonificare le aree a rischio del paese. Così non è stato.
Intanto il Bangladesh, anche in considerazione della posizione delle mine al confine tra i due paesi, ha presentato formale protesta. A confermarlo è stato lo stesso segretario di Stato Shahidul Haque, che si è però rifiutato di commentare più dettagliatamente la notizia.
E sempre in Bangladesh i camion dell’Unicef che trasportano acqua e kit igienico-sanitari di emergenza per migliaia di bambini Rohingya stanno cercando di raggiungere Cox’s Bazar. “C’è una grave carenza di tutto, soprattutto di rifugi, cibo e acqua pulita”, ha detto Edouard Beigbeder, rappresentante dell’Unicef nel paese. “Le condizioni sul posto mettono i bambini in serio pericolo di contrarre malattie legate all’acqua”. L’Unicef sta infatti cercando di fornire assistenza al dipartimento di Ingegneria per la salute pubblica fornendo impianti di trattamento delle acque e contenitori e sta lavorando con i partner sul campo per installare e risanare i pozzi esistenti.