Brexit, dalla fase 1 alla fase 2

di Gianluca Vivacqua – 

Ormai c’è la data. Un giorno, un mese e un anno già stabiliti. La Gran Bretagna uscirà dall’Ue il 29 marzo 2019, a due anni esatti dalla notifica dell’attivazione della procedura d’uscita, e sarà di venerdì. Come la congiura delle Polveri, il complotto dei cattolici inglesi contro il re protestante Giacomo I Stuart, che si risolse si in un fallimento.
Theresa May, la premier che si è presa l’incarico di fare il Mosè del popolo britannico nel percorso fuori dall’Europa, si augura naturalmente che la Brexit sia un venerdì di maggior gloria per chi tenta l’impresa. A dire il vero, oltre al giorno e al mese e all’anno, c’è già addirittura l’ora fissata per il grande avvenimento: alle 23.00, quindi quasi allo spirare di quel venerdì. Tutte ore guadagnate per il lavoro di Theresa la traghettatrice.
Dopo la fase preliminare – culminata col referendum del 23 giugno 2017 che ha visto la vittoria dei sì al divorzio di Londra da Bruxelles – la fase 1 della Brexit è iniziata il 16 marzo di quest’anno, col royal assent ad una legge, approvata dal Parlamento inglese tra febbraio e marzo, nota come European Union (Notification of Withdrawal) Act 2017. Tale legge autorizzava il primo ministro inglese, in forza dei risultati registrati nella consultazione nazionale (e che, ricordiamo, provocò la traumatica caduta del governo Cameron), a notificare al presidente del Consiglio europeo il recesso della Gran Bretagna dagli accordi di associazione e membership sottoscritti all’interno della Ue. Il 29 marzo, come ricordato in precedenza, il premier eseguì quanto quella legge le dava la facoltà di fare, e in seguito, il 5 aprile, in risposta all’atto inglese, il Parlamento europeo votò una risoluzione che regolava modalità e parametri del negoziato d’uscita. Tali negoziati hanno avuto inizio a tutti gli effetti il 19 giugno a Bruxelles, a poco meno di un anno dallo storico referendum, alla presenza del capo negoziatore dell’Unione europea, Michel Barnier, e del Segretario di Stato per l’uscita dall’Ue, David Davis e si protraggono tutt’oggi, così da fare da trait d’union tra fase 1 e fase 2, cominciata di fatto con la definizione della data della Brexit da parte di Londra, il 10 novembre, ma ufficialmente soltanto il 15 dicembre, allorché i 27 leader dell’Unione europea hanno approvato all’unanimità le linee guida relative ad essa.
Al centro dell’attenzione, in questa nuova tappa del percorso, c’è il problema di definire come si svolgerà la fase di transizione nei prossimi due anni. Nel corso di essi resteranno in vigore, come previsto, tutte le norme della Ue, compreso il potere della Corte di Giustizia. Ora l’agenda prevede un nuovo aggiornamento a gennaio del 2018, per approfondire le direttive del regime di passaggio, e poi a marzo, per iniziare a tracciare un profilo delle relazioni Ue-Gb nel post-Brexit.
Intanto, però, gli ultimi sondaggi indicano che, oggi, la prospettiva di uscire dall’Ue non conquisterebbe un consenso maggioritario: il 51% dei britannici, infatti, rimarrebbe volentieri agganciato all’Europa, al contrario di un 41% che continua invece a sostenere in tutto e per tutto la linea May.