Brexit. Le ripercussioni sulle tasche dei cittadini

di Dario Rivolta * –

Cosa succederà con la Brexit è questione ancora incerta. Se si dovesse scommettere, temo che i bookmaker di Londra diano favorita l’ipotesi del “no deal”, nonostante tutti sappiano che questa sarebbe la soluzione peggiore per tutti. Vedremo se il rinvio potrà portare un po’ di saggezza ai legislatori britannici, ma lo scontro interno al Partito Conservatore alimentato dalle ambizioni di chi vorrebbe il posto della May sembra non offrire grandi possibilità al buon senso.
Lo stesso governo britannico ha stimato che l’uscita dall’Unione potrebbe costare ai suoi cittadini circa 3mila euro l’anno cadauno e cioè l’8% del Pil. Tale “spesa” sarebbe dovuta, in caso di nessun accordo, ai dazi che colpirebbero le merci importate dall’Europa. Più esattamente, se mancasse il mercato unico e fossero applicate le migliori condizioni offerte ai Paesi con cui non esiste la libera circolazione delle merci, veicoli e macchinari vari sarebbero soggetti a un dazio medio del 10%, i prodotti agricoli a quello del 12% e i formaggi addirittura del 35%. Anche i prodotti britannici esportati verso il continente sarebbero penalizzati da un dazio medio del 5,7%.
In aggiunta ai vincoli tariffari potrebbero essere applicati anche quelli non tariffari e cioè tutte quelle norme e procedure che obbligano controlli sui prodotti che entrano nel nostro mercato e le condizioni di uniformità di standard affinché’ quei prodotti posano essere accettati.
È evidente che anche l’Europa continentale ne soffrirebbe ma di certo in misura molto minore. Ciò è dovuto al fatto che la Gran Bretagna importa ora dal resto dell’Unione molto di più di quanto esporta e la sostituzione con prodotti di altra provenienza, ove possibile, richiederebbe comunque un certo tempo.
Chi tra i membri dell’Unione soffrirebbe maggiormente è l’Olanda che manda oltre Manica ben il 10 % delle proprie esportazioni. Francia e Germania si limitano al 7% e l’Italia addirittura soltanto il 5%. Per quanto riguarda i volumi il Paese più penalizzato sarebbe la Germania che vedrebbe messa a rischio almeno una parte dei suoi 45 miliardi di euro mentre per l’Olanda si parla di circa 27 miliardi.
Noi italiani vi esportiamo molto meno, ma abbiamo il più grande avanzo commerciale poiché’ siamo in attivo per ben 12 miliardi. I nostri settori che verrebbero più colpiti da una hard Brexit sono l’alimentare, la meccanica strumentale, il tessile e il chimico.
La fonte di maggiori problemi nel dibattito a Londra è quello del confine nord-irlandese. Se, come chiedono i più accaniti fautori dell’”uscita”, la GB dovesse rinunciare a ogni forma di mercato unico, allora anche tra le due Irlande sarebbero restaurate le dogane sia per le merci che per le persone, così come avverrebbe con la costa sud del Canale. Questa ipotesi, fortemente avversata da Dublino e dai nazionalisti irlandesi di Belfast, porterebbe quasi sicuramente alla riaccensione della conflittualità tra le due comunità che vivono nell’Ulster e che si identificano come “cattolici” o “protestanti”. Soprattutto questi ultimi (ma anche alcuni “cattolici”), detti “unionisti”, sono fautori del legame indissolubile con la Gran Bretagna e l’ipotesi di un confine che resti aperto tra le due Irlande e si chiuda soltanto sulla costa inglese viene vissuto come propedeutico alla riunificazione di quel territorio con Dublino.
Una possibile soluzione che salvi i conti (e la faccia dei Brexiter), almeno parzialmente, potrebbe essere un trattato commerciale come quello già in vigore con la Norvegia. Questo Paese non fa parte dell’Unione Europea ma ne condivide il mercato unico. Le controindicazioni, non gradite da chi preferisce il “no deal”, sono che ciò implicherebbe anche il movimento delle persone (uno dei motivi che hanno convinto molti a votare per la Brexit), impedirebbe la possibilità di accordi commerciali con Paesi terzi senza il benestare di Bruxelles e sottometterebbe il Regno Unito a decisioni prese soltanto dalla UE, ma vincolanti anche per Londra.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.