Bulgaria e Moldavia: le elezioni spingono i governi verso la Russia

di Dario Rivolta * –

Domenica 13 novembre sia in Bulgaria sia in Moldavia si sono tenuti i ballottaggi elettorali per l’elezione del presidente della Repubblica. In entrambi i Paesi hanno vinto candidati filo-russi che sostituiranno i precedenti, considerati invece filo-occidentali.
Nonostante si tratti di due piccole realtà territoriali, la loro importanza nell’attuale contesa tra USA e Russia nell’area europea non è da sottovalutare e questi risultati elettorali potrebbero portare a un cambio di equilibri nei rapporti tra le due potenze.
La Moldavia fu zona di confronto fin dall’indipendenza dall’ex-URSS nel 1991 e la Transdnistria, piccola regione nell’est del Paese, si separò immediatamente dal resto della nazione chiedendo e ottenendo la “protezione” delle truppe russe e un conseguente aiuto economico. Quanto rimasto con la capitale Chisinau, con una popolazione costantemente divisa al suo interno tra abitanti di lingua e cultura rumena e altri di lingua e cultura russa, ha avuto dal 2009 Governi che hanno scelto la strada dell’avvicinamento all’Europa fino a coltivare perfino la prospettiva di un’unificazione con la vicina Romania. La presenza di molti partiti e la loro continua conflittualità hanno portato spesso a scontri di piazza e cambi di governo, ciascuno dei quali è sempre stato debole e tentennante. Nell’ottobre 2015 il primo ministro Valeriu Stelets fu costretto alle dimissioni a causa di uno scandalo che coinvolgeva tutto il suo Governo per la sparizione dalle casse pubbliche di un miliardo di dollari (considerato il piccolo budget del Paese, tale somma rappresenta ben il dodici percento del bilancio totale). Poiché il successore, Pavel Filip, non è riuscito (o non ha voluto) recuperare il maltolto né individuare dove fossero finiti i fondi, nei primi mesi di quest’anno sono ricominciate imponenti manifestazioni di piazza per chiedere le sue dimissioni e nuove elezioni. L’attuale vittoria col 54 percento dei voti al secondo turno del socialista Igor Dodon, rappresentante dell’opposizione, è arrivata anche grazie a quello scandalo mai chiarito. Dal punto di vista strettamente politico rappresenta comunque la volontà degli elettori di chiudere con le coalizioni filo- europee che avevano portato la Moldavia a diventare Paese Associato con l’Unione Europea e ospitare truppe NATO (pur contro la vigente Costituzione) per manovre congiunte con il locale esercito.
I poteri del presidente sono formalmente più di rappresentanza che di sostanza ma, per cercare di sedare le proteste popolari e per ovviare allo stallo tra le forze politiche che aveva impedito per mesi di eleggere in parlamento un presidente della Repubblica, la Costituzione era stata modificata ottenendo, per la prima volta, che fosse il popolo a eleggere il capo dello Stato. L’elezione diretta e la personale popolarità di Dodon gli consentiranno allora di andare oltre i suoi poteri formali, appellandosi direttamente agli elettori ogniqualvolta non volesse condividere le decisioni del governo. Va ricordato che rientra nei poteri del presidente l’indire referendum anche contro la volontà del governo in carica e, sempre secondo Costituzione, il risultato di questo tipo di consultazione dovrà essere assolutamente vincolante e superiore a ogni altra legge.
Tutta la campagna elettorale è stata centrata sulla scelta di recuperare buoni rapporti con Mosca o, come sosteneva invece la sua avversaria, confermare gli accordi in essere con l’Unione Europea e, magari, ipotizzare la fusione con la vicina Romania. Diventa quindi evidente che il voto a favore di Dodon rappresenta una scelta politica contraria alla politica d’isolamento dalla Russia perseguita fino a ora e ciò non mancherà di avere conseguenze più ampie anche sul piano internazionale.
radev-rumenIn Bulgaria le cose non sono andate molto diversamente. Anche lì, scandali a ripetizione hanno coinvolto il premier Borisov con conseguente perdita di popolarità sua e del partito di cui è l’espressione, il GERB. Il vincitore, il generale in pensione Rumen Radev, ha ottenuto quasi il sessanta per cento dei voti, mentre la candidata Tseska Tsaceva, sostenuta dal governo, non ha raggiunto il trentasei percento. Anche in questo caso il vincitore si era dichiarato favorevole a una ripresa di rapporti positivi con Mosca e aveva chiesto la fine delle sanzioni europee contro la Russia. Il voto ha evidentemente corrisposto all’insoddisfazione dei bulgari riguardo all’Unione Europea, con la quale è stato identificato l’establishment attuale, dominato da ricchi oligarchi spesso corrotti. Il primo ministro si è dimesso e si andrà quasi certamente a nuove elezioni che però non si potranno tenere prima della prossima primavera. Nel frattempo, il nuovo presidente nominerà un governo di transizione.
Il caso della Bulgaria è ancora più delicato che quello moldavo, poiché si tratta di un Paese membro della Ue che potrebbe così aggiungersi a quegli Stati europei che vedono di malocchio l’esistenza di sanzioni contro la Russia con le relative penalizzazioni per molti settori dell’economia.
Purtroppo, sia in Moldavia sia in Bulgaria, non si possono escludere a priori dei colpi di coda di qualche servizio americano, polacco o britannico, all’interno dei quali alcuni infelici orfani della guerra fredda potrebbero essere tentati di attivare apposite ONG per fomentare nuove “rivoluzioni colorate”. Viste le divisioni interne alla stessa amministrazione americana, messe in luce da com’è stata violata la tregua faticosamente ottenuta da Kerry e Lavrov in Siria, e considerato il vuoto di potere a Washington fino al prossimo Gennaio, non ci sarebbe da meravigliarci più di tanto.

Nella prima foto: il presidente moldavo Igor Dodon; nella seconda foto il premier Rumen Radev.

*Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.