“Cara” Europa. Quanto ci costa essere europei

di C. Alessandro Mauceri

UeMentre nel Regno Unito non si parla d’altro che di Brexit, nel resto dell’Unione qualcuno si è chiesto che fine fanno i soldi che i singoli paesi versano a Bruxelles.
Le sorprese non sono mancate. A detenere il peggior bilancio in assoluto è la Germania (con un saldo negativo di 59.506 milioni di euro), seguita dal Regno Unito (-32.129) e dalla Francia (-35.848).
L’Italia è quarta: ha lasciato 23.782 milioni di euro dal 2010 al 2014.
In altre parole, stare nell’Ue, agli inglesi è costato tra i sette e gli otto miliardi di euro all’anno, ai francesi quasi nove e ai tedeschi più di dieci miliardi di euro.
Cambia, ma di poco, la classifica se si considera il contributo per abitante. I maggiori contribuenti sono Svezia e Danimarca: ogni svedese versa all’Ue oltre novecento euro. Poco meno ogni danese (829). E poi olandesi, tedeschi, belgi, austriaci, finlandesi. Ogni italiano paga quasi quattrocento euro (387,09) il proprio essere “cittadino dell’Unione”.
Non sorprende che sull’altro fronte ad avere il bilancio positivo maggiore sia la Grecia (vista gli aiuti concessi dalla Troika). Meno scontati, invece, gli oltre 57 miliardi di euro di aiuti “netti” ricevuti dalla Polonia. O i 21 miliardi di euro netti ricevuti dall’Ungheria. Per non parlare dei 18 miliardi di euro di aiuti ricevuti dal Portogallo.
Se si guarda al bilancio degli aiuti in rapporto alla popolazione, le sorprese non mancano. Gli europei che hanno ricevuto gli aiuti maggiori non sono stati i greci, ma i lituani: ogni cittadino di questo paese ha ricevuto aiuti netti per quasi 2.400 euro. Poco meno gli abitanti dell’Estonia. E poi giù a scalare, greci, ungheresi, lituani, portoghesi, polacchi…
Anche altri numeri appaiono sorprendenti. A cominciare dagli aiuti ai paesi extra europei (che non hanno contribuito neanche con un centesimo al bilancio comunitario). Nel 2014, più di sei miliardi di euro sono serviti per finanziare progetti fuori dell’Unione. E ancora una volta le sorprese no sono mancate. Come per i finanziamenti destinati alla Tunisia per produrre olio d’oliva (mentre alle aziende italiane venivano imposte limitazioni). O i 20 milioni di euro (tutti italiani) destinati allo sviluppo del “nascente settore olivicolo pakistano”. E ancora i 280 milioni di euro spesi nel 2014 per migliorare i trasporti in paesi extraUe (mentre molte strade in Italia e in molti altri pesi europei vessano in condizioni disastrose).
Ma anche la ripartizione delle somme all’interno dell’Ue lascia perplessi. Appare strano ad esempio che, nel 2014, alla Germania sono stati concessi oltre 2 miliardi di aiuti per la “convergenza” destinata alle regioni meno sviluppate (quasi quanto all’Italia alla quale sono stati concessi poco di più, 2,8 miliardi). Lo stesso per quanto riguarda gli aiuti per l’agricoltura (European Agricultural Guarantee Fund, EAGF): Germania e Spagna hanno ricevuto più dell’Italia, e la Francia addirittura quasi il doppio.
Le stranezze e le anomalie sono innumerevoli.
Viene da pensare che se prima di andare alle urne per votare la Brexit, i cittadini britannici avessero saputo quanto è costato stare nell’Unione certamente l’esito del referendum non sarebbe più in dubbio.