“Cara” Nato. Trump chiede a Gentiloni di portare il 2% del Pil

di C. Alessandro Mauceri

“L’Italia pagherà di più per la Nato”. A pronunciare queste parole in un’intervista concessa all’Associated Press non è stato il presidente della Repubblica italiana. E nemmeno il presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni. È stato il presidente degli Usa Donald Trump al termine della visita ufficiale (la prima) del premier italiano negli Usa. Lo ha fatto quasi scherzando.
Immediata la replica del capo del governo italiano, secondo cui “E’ un processo graduale che è già iniziato”, “è un impegno molto chiaro” che intendiamo rispettare “nonostante le restrizioni di bilancio”. A fargli ec da Roma la ministra della Difesa Roberta Pinotti, la quale ha dichiarato che “Tutti i paesi della Nato hanno sottoscritto un documento in cui si impegnano a portare il budget della difesa al 2% del Pil”. Poi, forse presa da un’esigenza di trasparenza, Pinotti ha continuato affermando che “l’Italia è oggi all’1,18%, l’equivalente di 24 miliardi di euro”.
Secondo gli “accordi” i contribuenti dovrebbero versare annualmente alla Nato una somma equivalente quasi ad una manovra finanziaria. A rendersene conto è stata la stessa Pinotti , per la quale “Immaginare che si possa immediatamente raddoppiare è irrealistico”. Soprattutto perché nessuno fino ad ora ha detto da dove dovrebbero provenire le somme per consentire questi pagamenti.
Non è la prima volta che gli Usa battono cassa per cercare di racimolare fondi per il Patto Atlantico (Notizie Geopolitiche ne ha parlato qui).
Ciò che desta perplessità e dubbi è il fatto che Trump, mentre da un lato chiede all’Italia di versare somme enormi per la Nato, dall’altro ha dichiarato apertamente di non voler far nulla per rendere la Nato utile per tutti i paesi del Patto: alla richiesta di “impegno politico e di collaborazione con il nostro Paese” in Libia da parte di Gentiloni, Trump ha risposto che “Non vedo un ruolo degli Stati Uniti in Libia, credo che gli Stati Uniti abbiano già abbastanza ruoli”.
Un atteggiamento poco coerente che, invece di ricevere una dura risposta da parte del governo, ha visto un atteggiamento fin troppo accondiscendente: in un’intervista a Fox News dopo il colloquio alla Casa Bianca, Gentiloni ha definito “legittime” le richieste di Trump in merito all’aumento del contributo finanziario alla Nato. Iil premier Gentiloni però non ha spiegato dove il Bel Paese potrà reperire i fondi per far fronte a queste “promesse”, specie considerando che nell’ultimo periodo in Italia le somme destinate alla Difesa sono aumentate considerevolmente. Secondo i dati del Sipri, l’Istituto di ricerca sulla pace internazionale di Stoccolma, le spese per la difesa (sempre che possano essere definite “difesa” alcune delle missioni in corso) in Italia sono aumentate del’11% nell’ultimo anno, a differenza di quello che hanno fatto la maggior parte degli altri paesi europei, fermi all’1,5/2%.
Ma la cosa che più lascia perplessi è la reale utilità di far parte della Nato, un’organizzazione nata settant’anni fa con il chiaro scopo di costituire un’alleanza tra i paesi occidentali per contrastare le tensioni con l’Unione Sovietica e i suoi stati satellite. Oggi la Nato pare essere finita quasi nel dimenticatoio. Se ne sente parlare solo in occasione di temi come la richiesta della Turchia di intervento delle forze del Patto Atlantico dopo la violazione dello spazio aereo turco da parte di aerei russi, lo scorso anno. In realtà sono decenni che il ruolo della Nato è in discussione, da quando è venuto a mancare il “nemico comune”: la Russia. Dopo la disgregazione dell’Urss, fu Georgy Arbatov, politologo sovietico dell’Accademia delle scienze, che parlando della Nato chiese ad un giornalista occidentale: “Avete perduto il nemico. Che cosa farete ora?”. Dopo la fine della Guerra Fredda per qualche anno il Patto Atlantico finì in una sorta di limbo da cui risorse solo quando gli Stati Uniti decisero che era “utile” sotto il profilo del diritto internazionale per sostenere alcune “iniziative” a stelle e strisce.
Oggi, dopo che ogni discussione circa la moralità e il diritto internazionale pare siano venute meno, torna ad essere legittima la domanda: a cosa serve la Nato?
L’unica spiegazione, forse, rileggendo i colloqui tra il presidente americano Trump e il premier italiano Gentiloni, è avere un pretesto e una formale giustificazione per consentire agli Usa di tenere armi, uomini e mezzi sparsi in tutto il pianeta: secondo il rapporto Base Structure Report(BSR) – FY 2015 Baseline del ministero della Difesa americano, sono centinaia le installazioni militari controllate direttamente dall’esercito Usa al di fuori del territorio statunitense. Si va dall’Australia al Bahrain, dalle Bahamas al Belgio alla Costarica (procedendo in ordine alfabetico) sino alla Corea del Sud, alla Spagna e agli Emirati Arabi Uniti. In Italia, stando al rapporto ufficiale americano, sono ben 21 le basi militari controllate e gestite dall’esercito a stelle e strisce, per un totale di 392 edifici. Una presenza imbarazzante dato che, come è stato dimostrato nel caso del Muos a Sigonella, in Sicilia, spesso in questi siti la stessa sovranità nazionale italiana è messa in discussione.
Quella di Trump che chiede una più “corretta distribuzione del carico per la difesa comune” tra gli alleati è solo l’ennesimo trucchetto da uomo di avanspettacolo: è stato uno dei suoi cavalli di battaglia durante le presidenziali. Ma la verità è che l’impegno a portare le spese militari al 2% del Pil è stato deliberato dal vertice della Nato del settembre del 2014 in Galles. Una decisione che però, ma questo Trump si è guardato bene dal dirlo (e i media con lui), non parla di un pagamento immediato ma di un “adeguamento” da raggiungere entro il 2024. Ovviamente per i paesi che decidessero di rimanere ancora parte della Nato.