Caro papa Francesco, purtroppo la religione c’entra

di Giovanni Ciprotti –

Papa francescoCome puntualmente accade ogni volta che affronta un viaggio, papa Francesco ha approfittato del volo verso Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù per parlare al mondo, questa volta di guerra e terrorismo: “non c’è guerra di religione, c’è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli. Tutte le religioni vogliono la pace, capito?”, sono state le sue parole.
Papa Francesco non ha paura ad utilizzare la parola guerra. La ripete più volte perché non ci siano dubbi sulla gravità del momento. Dichiarare di essere in guerra porta con sé anche una “chiamata alle armi”, che per il pontefice sono quelle della tolleranza e della comprensione reciproca.
Tuttavia, nel lanciare il suo appassionato appello, esclude l’elemento religioso tra le cause di molti conflitti e atti terroristici che continuano ad insanguinare vaste aree del pianeta.
Sin dall’inizio del suo pontificato papa Bergoglio ha dimostrato un’attenzione e una capacità straordinarie nella costruzione di ponti tra culture e confessioni diverse. I suoi discorsi a favore della giustizia sociale, a tutela dei più deboli e per la composizione pacifica, politica, dei contrasti sono stati apprezzati e accolti favorevolmente in tutto il mondo. In molte occasioni l’iniziativa vaticana del papa argentino ha ispirato, e non di rado anticipato, dichiarazioni e azioni dei leader politici mondiali.
La volontà di pace del vescovo di Roma e la sua altissima statura morale sono universalmente riconosciute, ma non per questo si può ritenere la religione, o meglio le religioni, ininfluenti nelle tragiche vicende che portano morti e disperazione in molte aree della Terra. Le religioni, cattolicesimo incluso, non hanno sempre costituito un elemento unificante. Al contrario, storicamente l’effetto della religione è stato spesso divisivo.
Oggi il mondo occidentale – ma non dimentichiamo che lo stesso accade anche in Asia e in Africa – subisce gli atti terroristici del radicalismo di matrice islamica, ma in altre epoche i ruoli sono stati invertiti. Basti pensare alle crociate, che portavano nel Vicino Oriente sconvolgimenti non meno dolorosi di quelli a cui assistiamo oggi, nel nome di un cristianesimo moralmente superiore. La storia del mondo occidentale, ed europeo in particolare, è costellata di vicende tragiche nelle quali l’aspetto religioso era centrale, anche se non esclusivo: i soprusi e i crimini della santa inquisizione, la terribile e spietata caccia alle streghe, le guerre di religione combattute in Europa dopo la riforma protestante e lo scisma anglicano, che non sono state meno cruente degli scontri che oggi squassano il mondo musulmano, nei quali contrasti di natura religiosa armano l’uno contro l’altro l’islam sciita e quello sunnita.
Qualcuno potrà obiettare: si tratta di vicende lontane nel tempo, che la civiltà occidentale ha superato e espulso dai propri caratteri. Beh, anche dando una rapida occhiata agli avvenimenti del secolo appena trascorso, come dimenticare il conflitto “a bassa intensità” che ha visto contrapposte, in Irlanda del Nord, la comunità cattolica e quella protestante? Tra gli anni Sessanta del XX secolo e la fine degli anni Novanta, quando fu siglato un accordo tra le fazioni nemiche, sono state uccise alcune migliaia di persone soltanto perché appartenenti all’altra comunità religiosa.
L’impegno a favore della pace di papa Francesco è al di sopra di ogni sospetto e le parole di molti imam dopo l’omicidio di padre Hamel a Rouen sono animate da uno spirito di fratellanza, ma non cancellano i comportamenti di molti uomini di chiesa, anche cristiani, che con le loro parole scavano profondi solchi all’interno delle comunità, dividendole in chi è accolto da chi ne è escluso, in nome di principi religiosi ritenuti assoluti e validi per tutta l’umanità.
Lo spirito cristiano può originare la marcia di Assisi per la pace, ma quando i toni diventano esasperati è responsabile anche degli attentati che ogni anno si registrano negli Stati Uniti ai danni dei medici che praticano l’aborto, colpevoli di aver trasgredito un precetto cristiano, malgrado ci sia una legge dello Stato che regolamenta quel settore. A parte l’uso delle armi da fuoco al posto delle cinture esplosive, possiamo considerare meno che fondamentalisti (cristiani) quei cittadini che nel nome di dogmi considerati superiori e assoluti sparano a un medico?
In una recente intervista, il politologo Michael Walzer ha affermato che “è in atto un risveglio delle religioni, che in alcuni casi non sono l’oppio, ma l’eccitante dei popoli, e a causa di questo si è creata una piccola, ma significativa schiera di persone pronte a morire e uccidere”.
Non dobbiamo cedere alla tentazione di identificare il fondamentalismo e la violenza con la religione musulmana, né con nessuna altra religione, ma per contrastare chi, nel nome di un dio, arriva ad uccidere, non si può negare l’importanza dell’elemento religioso nella analisi degli avvenimenti. Questa responsabilità ricade principalmente sulle personalità di riferimento all’interno delle rispettive comunità religiose, si tratti di imam, preti o rabbini. Sono principalmente le loro parole che possono alimentare comportamenti a favore della tolleranza oppure spingere ad agire, anche con estrema violenza, contro chi è bollato come miscredente o infedele.