Catalogna. Quel flop che nessuno vuole vedere e che Bacellona ha saputo capitalizzare

di Enrico Oliari

Comunque la si giri, il risultato del referendum che si è tenuto domenica scorsa per l’indipendenza della Catalogna è stato di molto al di sotto delle aspettative.
Infatti hanno votato 2.262.424 di aventi diritto su 5,4 milioni, quindi meno la metà degli aventi diritto, ed i “sì” sono stati 2.020.144 (90,09%) contro i 176.565 (7,87%) “no”; le schede bianche sono state 45.586 (2,03%) ed i voti nulli 20.129 (0,89%).
La prima obiezione che si potrebbe muovere ad una tale considerazione è la repressione che c’è stata da parte delle autorità centrali, con dirigenti della Generalitat arrestati, schede e urne confiscate, poi ancora le scuole occupate alla vigilia del voto, le manifestazioni di piazza, le cariche della polizia: un clima di paura che potrebbe aver tenuto lontano dai seggi i catalani. Tuttavia è bene ricordare che anche nel novembre del 2014 si era tenuto un referendum simile, ed il numero dei votanti era stato addirittura superiore, 2.305.290.
Certo, allora la polizia nazionale non aveva sparato proiettili di gomma sui manifestanti, ma a far riflettere è lo scarto fra gli aventi diritto e coloro che effettivamente hanno preso parte ad una consultazione referendaria che non tutti i catalani evidentemente sentono, per di più bollata come incostituzionale dalla Corte suprema.
La Costituzione spagnola, a differenza del quadro britannico-scozzese, non permette la secessione, per cui le iniziative dell’amministrazione regionale catalana promosse oggi da Carles Puigdemont e nel 2014 da Artur Mas assumono un valore pressoché propagandistico, specie se si pensa che già la Catalogna è una regione autonoma con un proprio autogoverno.
Anche la speranza dei secessionisti del coinvolgimento dell’Unione Europea in nome di un non ben definito diritto all’autodeterminazione dei popoli appariva un po’ azzardato, anche perché il governo di Madrid avrebbe posto il veto ad un’eventuale adesione della “Repubblica di Catalogna” all’Ue.
Difatti nei giorni scorsi il portavoce della Commissione Ue, Alexander Winterstein, rispondendo al responsabile del dipartimento Esteri del governo regionale catalano, Raul Romeva, che aveva chiesto all’Ue di “difendere” i principi democratici a suo dire violati dalla “repressione” del governo di Madrid, aveva detto che “rispettiamo l’ordinamento giuridico costituzionale della Spagna. Non abbiamo altri commenti da fare su questa questione”.
Ed oggi il premier Mariano Rajoy ha bollato il voto come una “messa in scena” della democrazia, ed ha dichiarato che “Non c’è stato un referendum per l’auto determinazione della Catalogna”.
Resta invece da capire l’atteggiamento repressivo di Madrid, che ha portato a scontri dal bilancio complessivo di 800 feriti tra cui 12 agenti, 3 arresti e 92 seggi su 2.300 chiusi (319 secondo i catalani): nel 2014 il governo di Madrid aveva semplicemente ignorato il referendum dopo che si era espressa la Corte suprema, mentre oggi c’è andato giù con la mano pesante.
Un errore incomprensibile che Barcellona ha saputo sfruttare bene nell’insieme della comunicazione mediatica: oggi i catalani sono agli occhi del mondo un popolo perseguitato. Al di là che ciò corrisponda o meno al vero.