Catalogna. Sánchez giura a Madrid, Torra a Barcellona

I due nuovi governi giurano quasi in contemporanea.

di Gianluca Vivacqua –

Giuramenti paralleli. A Madrid al palazzo della Zarzuela, in casa del re Felipe VI, giura come nuovo premier spagnolo il segretario del PSOE, Pedro Sánchez. Quasi nelle stesse ore a Barcellona, al Palau de la Generalitat de la Catalunya, giura anche il nuovo governo catalano, guidato da Quim Torra. Quest’ultimo, in realtà, era in carica ufficialmente già dal 17 maggio, ma la formazione del suo gabinetto è stata “congelata” per alcune settimane. Ad ostacolarne il varo, infatti, le obiezioni di Madrid circa quattro ministri: Jordi Turull e Josep Rull, che si trovavano in carcere proprio nella capitale iberica, in conseguenza dei fatti di settembre-ottobre 2017; e poi Toni Comin e Lluis Puig, fuggiti in Belgio con l’ex presidente Puigdemont sempre in seguito alla situazione culminata nel referendum indipendentista ottobrino. Esso fu contrastato con violenza fin dal suo nascere dal governo di Rajoy, in quanto considerato anticostituzionale, ma venne ugualmente indetto dalle autorità catalane; e, avendo prodotto il risultato temuto, cioè la maggioranza di sì all’indipendenza, provocò l’immediato rigetto da parte spagnola, no scompagnato da feroci misure repressive. In primis, la destituzione del governo.
Il compromesso che ha consentito l’agognato sblocco è stato, in realtà, una soluzione abbastanza semplice: e cioè la rinunzia ai quattro componenti incriminati. Una piccola vendetta simbolica però, Torra e gli altri indipendentisti se la sono presa riservando, idealmente, un posto per la cerimonia del giuramento anche a Puigdemont e agli altri assenti forzati: a rappresentarli tutti, lì, nella sala dove si è consumato il rito, spiccava una sedia vuota, ornata con un cartello recante il simbolo dell’indipendenza catalana, il nastrino giallo.
Molto meno lunga e tormentata è stata, di fatto, la genesi del governo Sánchez a Madrid. Qui c’è stato, in realtà, quello che si potrebbe definire un vero e proprio ribaltone parlamentare. È stata, infatti, una mozione di sfiducia preparata dal Psoe e cresciuta, via via, nei consensi (da parte di Izquierda Unida e Podemos, ma anche dei “vendicatori” catalani PdeCAT e ERC) a determinare la fine del gabinetto Rajoy e la sostituzione del premier (in attesa di nuove, imminenti elezioni) col leader socialista. C’è da dire, comunque, che Rajoy si era già rovinato ampiamente con le sue mani, finendo coinvolto in quella maxi-vicenda di corruzione e fondi neri, nota come caso Gürtel, che ha letteralmente inghiottito il Partito popolare. La mozione del Psoe è stata solo, in un certo senso, il colpo di vanga finale. Perché Sánchez sale direttamente alla guida del governo senza passare da nuove elezioni? Perché viene in suo aiuto la Costituzione spagnola: la quale prevede che, in caso di sfiducia costruttiva, il premier sfiduciato venga rimpiazzato immediatamente dal leader proponente la mozione.
Sono fatti per intendersi, Sánchez e Torra, più di quanto non siano riusciti a fare Rajoy e Puigdemont? Il nuovo presidente della Generalitat un messaggio al nuovo primo ministro del Regno ha già provato a lanciarlo: “Parliamo, assumiamoci entrambi dei rischi, sediamoci a un tavolo e negoziamo lealmente da governo a governo”. La trattativa condotta da pari grado, senza fraintendimenti: ecco il punto più importante per Torra, che tiene a sottolineare come lui e i suoi ministri proseguiranno sulla strada dell’indipendenza. Sánchez, dal canto suo, in passato aveva già espresso le sue critiche sul secessionismo catalano, ma allo stesso tempo si era detto convinto dell’opportunità di “costruire ponti”. Staremo a vedere.