Centro Asia: paesi in evoluzione tra pressioni internazionali e vecchi regimi

di Dario Rivolta *

I Paesi centro asiatici, chi più chi meno, stanno passando un periodo di transizione e cambiamenti. Il più importante per dimensione e sviluppo economico è il Kazakhstan ove, lo scorso marzo il presidente Nursultan Nazarbaev si è dimesso dal suo ruolo, designando ad interim lo speaker del Senato Qassym Tokaiev. La figlia di Nazerbayev, Dariga, è stata immediatamente eletta al posto di quest’ultimo. Il 9 giugno Tokaiev è stato poi confermato attraverso una elezione popolare, contestata da alcuni ma sostanzialmente corretta. Il settantanovenne Nursultan Nazerbayev, soprannominato Elbasy (in kazako: leader della nazione) non è comunque del tutto uscito di scena riservandosi il posto di presidente del Consiglio di Sicurezza e del suo partito: Nur Otan. In altre parole, continuerà a rimanere l’uomo chiave. Il Tokaiev è sicuramente un suo uomo di fiducia e, forse perché manca di un qualunque autonomo carisma personale, assicurerà senza dubbio la continuità della gestione precedente. Come segno di riconoscenza nei confronti del suo mentore ha immediatamente fatto approvare la decisione che la capitale Astana cambiasse nome e assumesse quello di Nursultan. Contemporaneamente, si è deciso che in tutte le città del Paese le vie principali fossero dedicate al vecchio leader.
Indubbiamente Nazerbayev è stato una guida molto capace per il Kazakhstan e ha saputo pilotare con indiscussa abilità politica lo sviluppo economico del Paese, evitando pure che nascessero conflitti tra gli autoctoni e l’importante minoranza russa che vi abita da numerosi decenni. Non si può certo dire che lo abbia fatto con metodi democratici, ma la sua popolarità è talmente ampia da rendere ininfluente il peso di qualunque opposizione che, seppur disorganizzata, comunque esiste. Il reddito pro capite kazako dal 2015 ha superato persino quello russo. Il Paese fa parte della Comunità Economia Euroasiatica, della Shanghai Cooperation Organization (SCO) e della Collective Security Treaty Organization (CSTO). La prima è una sorta di mercato comune egemonizzato da Mosca che, a causa del venir meno dei dazi doganali intra-stati, ha tuttavia creato qualche problema all’economia kazaka suscitando contenziosi con Mosca che Nazerbayev ha saputo però affrontare e risolvere. Lo SCO è stato creato invece come una specie di NATO asiatica ed è guidato contemporaneamente dalla Russia e dalla Cina con una specie di divisione dei compiti tra i due. La Cina costituisce soprattutto un riferimento per gli aspetti economici e la Russia per le materie legate alla sicurezza. La CSTO è pure una organizzazione difensiva guidata da Mosca ma è limitata ad alcuni dei Paesi che facevano parte dell’ex Unione Sovietica.
Ricevuto l’accordo di Nazerbayev, Tokaiev ha annunciato una serie di riforme nel settore economico con l’obiettivo di diversificare le fonti di reddito nazionale rispetto a gas e petrolio che tuttora costituiscono la gran parte del prodotto lordo. Teoricamente, ci si potrebbe aspettare anche un maggior dialogo con gli oppositori, ma immaginare un approfondimento democratico del regime è altamente improbabile.
Diversa, almeno in parte, sembrerebbe l’evoluzione in atto in Uzbekistan. Dopo la morte del dittatore Islom Karimov in autunno, nel dicembre 2016 fu eletto presidente dell’Uzbekistan l’allora primo ministro Shavkat Mirziyoyev. Diversamente da Tokaiev, costui fece subito intendere che il regime sarebbe cambiato di molto e, grazie ad una sua forte personalità, ha potuto permettersi di non pagare tributo alla figura del predecessore annunciando, al contrario, numerose riforma economiche, sociali e politiche con l’intento dichiarato di modernizzare e liberalizzare il Paese. In realtà, pur rinunciando, almeno nelle dichiarazioni, a coltivare un nuovo culto della personalità, anche in questo caso è piuttosto improbabile che il sistema politico possa realmente democratizzarsi. Tuttavia, il nuovo governo ha deciso di chiudere l’infame prigione Jaslyk voluta da Karimov, di rilasciare un certo numero di prigionieri politici, di alleviare i controlli su internet e ridurre (non eliminare) la censura sui media. Contemporaneamente, e anche nell’intento di favorire un rilancio dell’economia grazie agli investimenti esteri, si è decisa una revisione di tutti i requisiti necessari per facilitare l’ottenimento dei visti di lavoro per gli stranieri.
La cosa che accomuna tutti gli Stati dell’Asia Centrale (e non solo Kazakhstan e Uzbekistan) è il loro essere contemporaneamente oggetto di interesse sia per la Russia che per la Cina. Alcuni analisti di politica internazionale pensano che sarà proprio la rivale volontà di egemonia nell’area che potrebbe diventare la principale ragione di un futuro dissidio tra i due e la cosa non è da escludere. Certamente entrambi sanno già che le rispettive ambizioni potrebbero scontrarsi e, magari, porre fine all’attuale comunanza di intenti su altre parti del mondo. Tuttavia, almeno per il momento, i cinesi fanno di tutto per tranquillizzare Mosca sull’argomento e si muovono con i piedi di piombo, sempre lasciando intendere che riconoscono alla Russia una priorità d’azione e di interessi sulla regione. Conoscendo l’astuzia di Pechino e la sua preferenza nel fare un passo alla volta giocando sui tempi lunghi, anche chi spera di poter vedere una frattura nella loro vicinanza dovrà probabilmente aspettare ancora per molto.
Tutte le popolazioni della zona parlano ancora il russo, seguono i film, le serie televisive e gli spettacoli teatrali in arrivo dalla Russia e Mosca è ben attenta a cercare di mantenere vivi gli scambi commerciali e gli aiuti verso tutte quelle Repubbliche ex sovietiche. Con il Kazakhstan esistono e si stanno espandendo partnership nei settori spaziale, agricolo e dell’energia atomica. Con la Kirghisia si sta lavorando per la distribuzione di gas in tutto il paese e lo stesso viene fornito a prezzi molto “amichevoli”. Il Tagikistan riceve gas, petrolio, legno, materiali ferrosi, cibo e prodotti di varia tecnologia e, in cambio, vende in Russia cotone, frutta e vegetali vari. Più problematico è sempre stato l’Uzbekistan che, prima e durante l’invasione americana dell’Afghanistan, forse per cercare di ottenere il massimo giocando su due tavoli, ha dato segni di voler dialogare con l’occidente. Comunque sia, nel 1999 uscì dall’accordo CSTO, ci rientrò nel 2005 e ne riuscì nel 2012. Nel 2008 abbandonò anche la Comunità Economica Euroasiatica. Il cammino intrapreso verso l’ovest si interruppe però quando Karimov ordinò una repressione violenta contro dei manifestanti nella città di Andijon. Furono massacrate centinaia di persone e USA ed Europa raffreddarono i rapporti con Karimov. Con l’arrivo al potere di Mirziyoyev sembrerebbe che Mosca sia tornata ad essere il punto di riferimento più importante e, come conferma durante la sua ultima visita a Mosca nell’aprile del 2017, si concordarono investimenti per 12 miliardi di dollari e si decise di incrementare gli scambi di almeno altri 4 miliardi.
La prudenza cinese non significa comunque un’assenza. La Cina, oltre a prevedere in questi Paesi il passaggio di alcuni corridoi della Via Della Seta terrestre e aver deciso di investirvi almeno 25 miliardi di dollari, punta su alcuni di loro come fornitori di materie prime e sta allargando la cooperazione anche nel settore culturale. Non casualmente, ha moltiplicato il numero di studenti locali ammessi nelle Università cinesi e ha promosso lo studio del Mandarino fino a farlo diventare la seconda lingua più studiata nella zona.
Mosca non sottovaluta di certo queste mosse ma non ha molta scelta. Le sanzioni dell’occidente la obbligano ad appoggiarsi sempre più ai fondi finanziari in arrivo dalla Cina e l’isolamento diplomatico che Washington e Bruxelles continuano a voler mantenere nei suoi confronti la spingono con sempre maggior forza nelle braccia aperte da Pechino. L’occidente dovrebbe domandarsi se è più conveniente un centro Asia legato a Mosca oppure a Pechino. Di certo, se il nostro atteggiamento non cambierà in tempi brevi, arriverà il momento in cui cambiare strada sarà troppo tardi e ci troveremo allora una Russia molto più debole (cosa che i russofobi sognano) ma, probabilmente, una Cina oramai troppo forte perfino per noi.

Nella seconda foto: Nursultan Nazarbayev.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.