Clima. Pechino promette, ma intanto soffoca nello smog

di C. Alessandro Mauceri –

Qualche mese fa i giornali hanno diffuso la notizia che anche la Cina aveva ratificato gli accordi per la riduzione delle emissioni di CO2 (all’ultimo minuto, insieme agli USA). Una ratifica che comporta un impegno concreto a fare qualcosa per l’ambiente. Ma non subito: nel migliore dei casi se ne parlerà tra quattro o cinque anni. Il problema è che in buona parte del paese la situazione è già oggi critica. Ormai sono decine di migliaia i profughi ambientali fuggiti dalle grandi città a causa dell’inquinamento dopo quella che alcuni hanno definito “airpocalyse”, una cappa di smog irrespirabile che costringe quasi mezzo miliardo di persone a vivere sotto una coltre di fumi tossici. Le regioni più colpite sono quella di Pechino, di Tianjin e di Heibei.
Una situazione così grave che un gruppo di avvocati ha intentato una causa contro il governo cinese per non aver fatto nulla di concreto. A dare la notizia è stato il Financial Times che ha confermato che Pechino (e molte altre città nel nord della Cina) da oltre una settimana sono in “allerta rossa” per l’inquinamento: sono state chiuse le scuole, la circolazione è stata limitata e anche alcune fabbriche sono state costrette a sospendere le proprie attività. Anche gli aeroporti hanno subito gravi danni: centinaia di voli sono rimasti a terra a causa della scarsa visibilità.
Cheng Hai, un avvocato di Pechino, ha accusato direttamente il governo affermando che esiste una responsabilità evidente per tutto ciò: “Si è parlato di progressi in materia di inquinamento dell’aria, ma quasi nessuna azione è stata fatta negli ultimi anni”, ha detto.
È la prima volta che dei legali intentano una causa amministrativa per protestare contro il modo in cui il governo gestisce i problemi ambientali. Una novità che ha subito riempito la rete: Weibo, la versione cinese di Twitter, ne ha parlato ampiamente nonostante un tentativo di censura da parte delle autorità che ha oscurato diversi post (sono ancora visibili su altri siti).
Questa vicenda ha messo ancora una volta il problema della gestione dei fondi destinati alle misure anti-inquinamento: come ha ricordato Qiao Mu, professore alla Beijing Foreign Studies University, “Tutto ciò che riguarda la politica, la divulgazione delle informazioni, la censura eccetera, vengono di solito rifiutati”, il modo in cui le somme destinate alle azioni per ridurre le emissioni non viene mai reso noto.
Anche le politiche energetiche adottate serviranno a poco: fino ad ora non si è andati oltre la promessa del governo centrale di spostare la produzione di energia elettrica del Paese dal carbone alle rinnovabili. Una promessa che richiederà anni anzi decenni per essere mantenuta. Intanto sono in continuo aumento le emissioni delle centinaia di centrali a carbone presenti in tutta la Cina (alcune delle quali appena costruite).
Nel frattempo non si arrestano i casi di “allarme rosso” causati dall’inquinamento atmosferico i molte aree del nord e della zona centrale della Cina dove pericolosi cocktail di sostanze inquinanti trasformano il cielo in una nebbia di colore giallo o di altri colori. Una situazione grave che colpisce 460 milioni di persone (come ha affermato Greenpeace), una popolazione equivalente a quelli di Stati Uniti, Canada e Messico insieme.
Una situazione invivibile che sta costringendo decine di milioni di persone a fuggire e allontanarsi dalle zone dove l’inquinamento è maggiore: un tour operator ha detto che prevede un movimento di persone non inferiore a 150mila persone solo questo mese: gente che per sfuggire allo smog cerca di andare in Australia, Indonesia, Giappone e alle Maldive.
“La gente non vuole vivere in luoghi con aria terribilmente inquinata”, hanno dichiarato alcuni di questi profughi ambientali.
Fino ad ora anche i tentativi del governo di arginare il problema concedendo aiuti alle imprese maggiori responsabili di questo inquinamento (come quelle del cemento e dell’acciaio) non hanno avuto altro effetto se non quello di mettere in difficoltà le imprese di minori dimensioni (costrette a fronteggiare una concorrenza sempre più forte e ad adeguarsi a regolamenti sempre più restrittivi).
E mentre il governo non sa ancora in che modo fronteggiare questa emergenza il livello dello smog ha raggiunto un livello otto volte superiore al livello raccomandato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), a Pechino il tasso di micro-particelle (PPM2,5) è stato di circa 200 microgrammi per metro cubo d’aria (dati Ambasciata degli Stati Uniti).
Una situazione che sta già causando (oggi e non fra quattro o cinque anni) gravi danni alla salute degli abitanti: il Quotidiano del Popolo ha diffuso la notizia che gli ospedali di Pechino hanno registrato un aumento inaspettato di pazienti con malattie respiratorie (tosse, tracheite, asma). Tutte patologie legate alle emissioni inquinanti.