Colombia: dopo 50 anni di conflitto ecco come gli scienziati studiano gli ex combattenti

di Vanessa Tomassini –

La Colombia è stata vittima di un’intensa lotta di potere tra ribelli guerriglieri, governo, gruppi paramilitari e narcotrafficanti per oltre mezzo secolo. Il conflitto armato colombiano si è radicato negli anni ’60 e si è indebolito e decantato mentre vari gruppi militanti hanno gareggiato per il controllo del territorio. Gli attacchi terroristici conteggiati dal Global Terrorism Database riflettono solo alcune delle 260mila morti attribuite al conflitto. Circa 7 milioni di persone sono state sfollate dai combattimenti e migliaia sono state rapite. Verso la fine degli anni ’70 i disordini civili contro il governo colombiano incoraggiarono gruppi di guerriglieri come le FARC e l’M-19. Attacchi di alto profilo nel decennio successivo inclusero l’assedio del Palazzo di Giustizia a Bogotà nel 1985 e il bombardamento del volo Avianca 203, del narcotrafficante Pablo Escobar, nel 1989. Gli anni ’90 videro prolungati combattimenti mentre i gruppi paramilitari, spesso finanziati da élite politiche e trafficanti di droga, crebbero di potere. L’esercito colombiano si ritirò da molte parti del paese. Verso la metà degli anni 2000 diversi gruppi paramilitari avevano stipulato un accordo di pace con il governo. Tuttavia i combattimenti sono proseguiti con le FARC fino al cessate il fuoco nel giugno 2016. Il patto finale è stato firmato a novembre dello stesso anno. Secondo l’accordo migliaia di ex combattenti delle FARC stanno entrando in “zone di transito” designate in tutto il paese, note ufficialmente come spazi territoriali per la formazione ed il reinserimento (ETCR). Qui si prepareranno a rientrare nella società colombiana. Ma diversi gruppi di guerriglieri continuano a combattere, inclusi un migliaio di “dissidenti” delle FARC che si sono rifiutati di firmare l’accordo.
Una neuroscienziata dell’Università di Antioquia a Medellín, Natalia Trujillo, ha visto 4 membri della sua famiglia rapiti, mentre la violenza esplosa nel paese aveva portato suo padre ad allontanarsi dai suoi terreni agricoli. Così insieme ad un gruppo di scienziati la dottoressa Trujillo ha deciso di studiare le radici psicologiche della violenza, osservando ed intervistando quei mostri, ex combattenti che avevano deposto le armi, intenzionati a reintegrarsi nella società civile. L’occasione arrivò nel 2010, con un programma di reintegrazione del governo colombiano che aveva riunito centinaia di ex combattenti nel giardino botanico di Medellín. La neuroscienziata, insieme al suo gruppo di ricerca, entrò nel giardino con una batteria di test cognitivi, pulsanti di panico (nel caso qualcosa fosse andato storto) ed alcuni preconcetti da dimostrare. “Pensavo che le persone che possono uccidere i loro vicini, che possono distruggere le loro comunità, che possono avere il coraggio di costringere altre persone ad abbandonare le loro fattorie, devono essere davvero cattive”, racconta Trujillo. All’ingresso nell’enclave i ricercatori hanno trovato alcuni elementi che soddisfavano aspettative della Trujilo, che con un comportamento provocatorio e vistose catene al collo cercavano di intimidire il gruppo di ricerca. Tuttavia la maggior parte degli ex combattenti – raccontano gli scienziati – erano persone normali che passeggiavano in giardino e mangiavano il gelato con i loro bambini. “All’inizio ero piuttosto delusa”, dice la dottoressa Trujilo. “Se qualcosa fosse sbagliato nel loro cervello, fornirebbe una spiegazione facile per il male che avevano fatto, ma dopo aver studiato più di 600 combattenti, ho iniziato a cogliere la complessità delle loro esperienze. Mi sono resa conto che non tutti sono sociopatici e che la maggior parte di loro sono anche vittime”. Tale constatazione non solo ha portato il gruppo di ricerca a rivedere i pregiudizi, ma l’intero Paese ha compreso la necessità di cambiare approccio nei loro confronti per permettere il processo di reintegrazione nella società.
Il governo della Colombia è attualmente impegnato in uno dei più grandi sforzi di pace nella storia. Come parte di un trattato del 2016 con il gruppo di guerriglieri di sinistra noto come le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), il governo ha deciso di concedere l’amnistia ai combattenti che abbandonano il conflitto e completano un programma di reinserimento, a condizione che non abbiano commesso gravi crimini. Circa 6.800 combattenti delle FARC sono già tornati nella società civile. Uno sforzo – si legge nel paper di Sara Reardon – politicamente controverso, che costerebbe 129,5 miliardi di pesos colombiani (46 milioni di dollari), ma che offre agli scienziati un’opportunità unica di comprendere gli aspetti psico-sociali di una popolazione che ha inflitto e sofferto i peggiori orrori della guerra.
La ricerca scientifica ha anche riguardato l’identificazione di una personalità del terrorista o di una predisposizione psicofisica in soggetti terroristi. Il 27 Aprile 2017, sono stati pubblicati gli studi denominati “Valutazione morale orientata ai risultati nei terroristi” in “Nature Human Behavior”, dei ricercatori del Laboratorio di esperimenti psicologici e di neuroscienza (LPEN), Institute of Cognitive and Translational Neuroscience (INCyT), INECO Foundation, Favaloro University Sandra Baez, Eduar Herrera, Adolfo M. García, Facundo Manes e Agustín Ibáñez e della Dottoressa Liane Young del Departimento di psicologia, del Boston College in Massachusetts. Gli studi, supervisionati dallo stesso Ufficio delle Nazioni Unite, Alta Commissione per i Diritti Umani, sono stati condotti su sessantasei terroristi paramilitari, arrestati collettivamente tra il 2003 e il 2006, poiché responsabili di atti terroristici e giudicati colpevoli dal Ministero di Pace e Giustizia della Colombia. I terroristi paramilitari colombiani, oggetto della ricerca, hanno dichiarato con deposizioni e confessioni volontarie di aver commesso atti terroristici gravissimi con il coinvolgimento di centinaia di vittime. I profili dei 66 terroristi sono stati comparati ad altrettanti di persone non criminali, sottoposti a test psico-socio-emotivo-cognitivi e attitudinali, che hanno visto utilizzata attrezzatura medico scientifica all’avanguardia. I risultati delle analisi condotte hanno rivelato dei marcatori psicofisici comuni a tutti i soggetti protagonisti, che li differenziano sostanzialmente dalle persone non terroriste. Secondo il dottor Augustin Ibanez, il comportamento del terrorista rappresenta un comportamento deviato, comprese le azioni antisociali, aggressive e disumanizzanti. Questi aspetti sono sufficienti per attribuirgli una sorta di disturbo mentale. Tuttavia, in senso tecnico, il terrorista valutato negli studi condotti non presentava malattie psichiatriche o neurologiche. Ogni paramilitare, è stato sottoposto a screening per escludere i disturbi neurologici, le condizioni psichiatriche ed escludere eventuali abitudini di consumo di droga, che potrebbero influenzare una qualsiasi delle variabili di risultato. Pertanto i loro comportamenti non sembrano essere giustificati da una sorta di malattia psichiatrica o neurologica riconosciuta.
Una manciata di scienziati stanno ora studiando gli ex combattenti con dettagli senza precedenti, nella speranza che siano in grado di informare e guidare il processo di pacificazione. Hanno scoperto che anni di isolamento ed esposizione alla violenza avrebbero potuto alterare la psicologia degli ex combattenti e l’elaborazione cognitiva in modi sottili. Nei test di laboratorio molti hanno difficoltà ad entrare in empatia con gli altri e ad esprimere giudizi etici non accettabili – carenze che potrebbero influire sul modo in cui si impegnano nella vita civile. Gli scienziati stanno ora preparando studi a lungo termine in città afflitte da conflitti per monitorare come la cognizione e gli atteggiamenti potrebbero cambiare nel corso del processo di riconciliazione, sia per gli ex combattenti che per i civili. I dati potrebbero infine informare gli sforzi di recupero di altri paesi dilaniati dalla guerra. Tuttavia la ricerca sta anche rivelando quanto sia complessa la sfida, alcuni esperti infatti temono che l’assistenza a disposizione degli ex combattenti sia inadeguata. “Sarà incredibilmente difficile uscire da questo circolo vizioso”, dice Jiovani Arias, psicoterapeuta e politologo presso l’Università delle Ande a Bogotá. Senza investimenti per migliorare la salute mentale, dice, l’eredità della violenza che colpisce sia gli ex combattenti che i civili potrebbero mandare all’aria i precari sforzi di pace della Colombia.

Si ringrazia: Ineco Foundation, Favoloro University e Conicet per l’Argentina, l’Università Autonoma del Caribe, l’Università di Los Andes e ICESI University per la Colombia, l’Università Adolfo Ibanez per il Cile e il Boston College per gli Stati Uniti.