Come Mosul risorgerà. Un’intervista all’archeologo Faisal Jeber

a cura di Vanessa Tommasini

“La città di Mosul è liberata completamente. Oggi abbiamo iniziato una rapida ricostruzione per riprendere i servizi di base, come l’acqua e l’elettricità. Isof, l’esercito iracheno e la polizia federale cominciano a lasciare la città, per dirigersi verso la città di Tel Afer che sarà liberata entro la prossima settimana”. Inizia con queste parole il viaggio nelle macerie della città, ex roccaforte del sedicente Califfato, accompagnati da Faisal Jeber, geologo ed architetto che in quei luoghi ha vissuto, da sempre.
Faisal è stato arrestato dall’Isis l’11 giugno 2014, accusato di essere una spia. Dopo tre giorni di interrogatorio e torture è stato rilasciato, e collaborando con le forze militari irachene è riuscito a raggiungere i campi e i punti strategici dell’esercito del terrore. Ci dice: “Come specialista del telerilevamento, ho aiutato le forze aeree irachene a raggiungere i centri e i campi Isis per gli ultimi 2 anni, prima dell’inizio dell’operazione nell’ottobre 2016”.
A spingerci a contattarlo è stata la curiosità di conoscere quegli scenari ora, ma soprattutto di sapere come la gente di quei luoghi non sia smarrita, vedendo sbriciolarsi tra le bombe e le granate perfino quei luoghi sacri di una comunità, con una storia secolare. Un popolo e dei luoghi dalle mille sfumature, tra islamismo e cristianesimo. Dove la fede ha ed aveva un ruolo importante nel quotidiano, per una comunità che pur con difficoltà si interfacciava col mondo esterno, la vita riparte da una “croce”. Una croce di legno, come si vede in questo servizio della tv libanese “MTV LebanonNews”,

un simbolo in grado di dare speranza, perché i luoghi non sono solo luoghi, ma rappresentano l’identificazione geografica, culturale e mentale di quei superstiti che aggirandosi tra le macerie, si chiedono cosa ne sarà di loro, di fronte allo shock di un prima e dopo Isis. Con quella croce si cerca di ridare un senso alla vita, un tempo e un dove.
“Un forte credente nel secolarismo e nei diritti umani, come è una città metropolitana come Mosul, deve ricominciare da una convivenza pacifica, per questo ho fondato l’Arca di Noè per il Centro di Coesistenza Pacifica (NGO). Nel giorno di San Giorgio, lo scorso 24 aprile, MGF ha innalzato una grande croce sulla collina accanto al Monastero di Mar Gorgeous, risalente al 1100, per chiedere ai nostri vicini cristiani di tornare alle loro case, contrassegnate con la lettera Mezzogiorno arabo (ن)”, spiega a Notizie Geopolitiche Faisal, Mosul è pronta a ripartire.

– I luoghi abbandonati per primi sono quelli più condannati, mostrando sempre più numerose, e a volte imponenti, le rovine prodotte dai combattimenti e dell’odio di un esercito disumano che nel tentativo di riscrivere la storia, ha voluto distruggere anche i templi e i resti archeologici delle diverse civiltà e culture che hanno popolato la regione. Ma da dove parte il progetto di ricostruzione?
“Il mio progetto attuale – ci spiega il geologo dall’Iraq – è la ristrutturazione del santuario di “Nabi Yunus” e contemporaneamente la moschea in Ziggurat: “Ninive”, la porta del “Neo” Medio Oriente. Il nostro progetto attuale, che abbiamo lanciato il 18 marzo (Giornata Internazionale dei Musei), è quello di trasformare Nabi Yunus Moschea, e la collina dove sorge, come un’icona di coesistenza pacifica. Con lancio della campagna “Nabi Yunus Ziggourat “, in arabo زقورةالنبيونس, stiamo cercando di far risorgere il monastero Esarhaddon ed il palazzo del Profeta Giona (Under Nabi Yunus Moschea), cercando di mettere insieme questi tre tesori del patrimonio internazionale dell’umanità sulla cima di Nabi Yunus Ziggourat. Potete vedere circa 500 metri di tunnel durante questo tour di 12 minuti dove ho filmato il dottor Maysoon Aldamaluji, presidente del comitato culturale e del patrimonio nel Parlamento iracheno nel video per promuovere il progetto”.

I luoghi antropologici più pregni di cultura e ricordi di una normalità, forse persa per sempre, sono secondo Jeber “il Santuario Nabi Yunus e la Moschea, oltre alla Moschea di AlNuri e il suo minareto pendente”. Il ritorno alla “vita”, nella sua mai scontata normalità, “è iniziato dall’inizio dell’operazione di liberazione nell’ottobre 2016, ma ci vorranno ancora almeno due anni”. Due anni, sempre secondo Jeber, scampato dalle grinfie del sedicente Stato Islamico, non potranno riportare in vita gran parte del patrimonio artistico di Mosul: “quello che abbiamo perso per sempre è un sacco di siti di eredità e antichità che non possiamo far tornare, inoltre il 50% delle minoranze come i cristiani e i yazidi, che hanno lasciato il Paese, sarà molto difficile convincerli a tornare a casa…”.
Il lavoro di Faisal Jaber, all’opera in questo video, rivela l’umanità dei luoghi. La ricostruzione dei luoghi sacri e artistici di Mosul, rappresenta il tentativo di far tornare alla luce un popolo, che seppur con le sue divisioni e difficoltà, tornerà ad abitare e ad identificarsi con un “dove”, secondo un principio di senso di appartenenza per coloro che vi torneranno a vivere e di intelligibilità per coloro che, dall’esterno, osservano.