Conversando con Luttwak: l’Iran, i flirt col terrorismo, i test missilistici e l’odio per gli Usa ed Israele

di Vanessa Tomassini *

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, su una cosa sono sempre stati certi: è l’Iran il principale nemico dell’occidente. Durante il vertice di Riad, in Arabia Saudita, Trump aveva definito la Repubblica Islamica dell’Iran come il maggior finanziatore del terrorismo. Nonostante le sanzioni applicate dai Paesi Vicini e gli avvertimenti degli Usa, l’Iran si è sempre rifiutato di negoziare seriamente. Anzi, il suo presidente Hassan Rohani sembra non preoccuparsi molto di cosa fanno gli Stati Uniti e i Paesi Vicini loro alleati, lasciandosi andare di giorno in giorno a nuove provocazioni. L’ultima trovata? Il secondo test eseguito con successo del veicolo di lancio spaziale “Simorgh”, anche detto Safir-2, i cui razzi sarebbero in grado di trasportare satelliti da 700 chilogrammi nello spazio fino a mille chilometri dal pianeta Terra.
“Parliamo di un Paese povero, il cui governo si esprime come se fosse un nobile e avanzato Paese. È vero che producono missili, o meglio, li importano dalla Corea del Nord, li programmano e li lanciano. Questo lo potrebbe fare tranquillamente anche la Calabria: è una questione di numeri. Se la regione Calabria volesse avere missili balistici, potrebbe fare tranquillamente quello che fa l’Iran. Anziché accettare l’accordo e ritirarsi dal nucleare, interrompendo le relazioni con le associazioni terroristiche, hanno reagito, raddoppiando. O meglio, hanno smesso di investire nel nucleare per investire nei sistemi missilistici. Vivono come miseri contadini, la maggior parte nella povertà assoluta, ed Governo spende i soldi dei poveri contribuenti per missili balistici e per finanziare milizie come Hezbollah. Questa è la loro scelta: una dittatura clericale, che ogni tanto fa elezioni fra candidati che loro stessi hanno scelto”. Lo descrive così l’Iran l’esperto di politica internazionale e consulente strategico del governo degli Stati Uniti, Edward Nicolae Luttwak. Lo studioso originario di una famiglia ebraica della città di Arad in Romania, si è rifugiato in Italia durante il Secondo conflitto mondiale, per sfuggire ai sovietici. Ci ha risposto da Washington, dove ricopre il ruolo di consulente all’Ufficio del ministero della Difesa, il National Security Council ed al Dipartimento di Stato. Nonostante sia noto per l’atteggiamento duro e provocatorio, ben chiaro dal suo saggio “Give war a chance”, nel quale suggerisce l’inutilità delle missioni di pace e delle attività umanitarie delle Organizzazioni non governative, ne abbiamo apprezzato l’onestà culturale e la gentilezza con cui ha interloquito con noi.

– Oltre a progettare missili ed essere un Paese povero ed arretrato, come vede l’Iran? Ci saranno reazioni dopo quest’ennesima provocazione?
”Innanzitutto l’Iran è il Paese che ha, nella parte nordica, i più grandi giacimenti di gas minerali al mondo. A causa del loro sistema politico, del loro regime, la loro sintesi tra corruzione e religione, sono riusciti a non fare niente e non svilupparsi. Abbiamo un Paese con oltre 80 milioni di abitanti con una marcata dipendenza dal business degli idrocarburi, e questo è assurdo. Questo modello economico può essere valido per Paesi più piccoli come Qatar ed Emirati Arabi, che possono permettersi di stare seduti ad ingrassare come porci con i loro servi che lavorano per loro. Gli introiti derivati dal commercio di gas portano pochissima ricchezza pro capite in un Paese con oltre 80 milioni di abitanti. Sono molto poco produttivi, quindi condannati alla povertà anche nel settore del gas e del petrolio. Più generalmente sono poco competitivi: non esportano quasi niente, non riescono a produrre abbigliamento, scarpe o automobili, o qualsiasi cosa vendibile sul mercato. Non accadrà che un regime come quello iraniano possa durare per molto tempo, prima o poi poi crollerà per vario marciume in varie dimensioni. Nessuno li invade, nessuno li rimuove fino a quando non attaccheranno gli israeliani e allora lì pagherebbero un prezzo altissimo. Se mai dovessero attaccare Israele, Netanyahu a quel punto li cancellerà, come ogni volta che hanno mandato navi ad Hamas in Palestina e sono state affondate”.

– Veniamo proprio ad Israele: dopo l’escalation di tensione dall’attacco del 14 luglio dove sono morte due guardie a Gerusalemme, Netanyahu ha smantellato i metal detector e riaperto il sito per il venerdì musulmano. Abbiamo assistito a tensioni con la Giordania, ma la minaccia più imminente per lo Stato di Israele sembra essere Hezbollah, che ha basi missilistiche non solo in Libano, ma anche in Siria. Protestanti arabi anti Israele hanno manifestato sventolando le bandiere gialle di Hezbollah proprio in Iran. Crede che siamo vicini ad una nuova guerra?
”Sì, sicuramente la più alta concentrazione di razzi in mano agli Hezbollah è in Libano. Io credo che se Hezbollah lancerà dei missili, una piccola parte non saranno intercettati”.

– Che cosa risponde a chi parla di boicottaggio di Israele?
”Non esiste e non può esistere un boicottaggio verso Israele. Solo nell’ultima settimana sono state create nuove 22 linee aeree di collegamento dall’aeroporto di Tel Aviv verso Europa, Slovacchia e Cina. Senza parlare della fitta rete diplomatica che ha Israele, uno dei Paesi più sviluppati, tecnologici ed avanzati al mondo. Il governo di Bibi Netanyahu è un governo duro, di destra, che non fa concessioni a nessuno. Non fa sconti ai palestinesi, con niente e con nessuno. L’economia israeliana, con le sue aziende sempre più presenti nel mondo, è in continua espansione. Io credo che continuando così Israele sarà gradualmente il Paese meno boicottato al mondo. Ci possono essere manifestazioni di strada con bandiere palestinesi, peccato che i palestinesi odiano gli europei, tanto quanto gli americani. Però il governo svedese, ad esempio, ama i palestinesi senza tuttavia fare nulla per loro: le aziende e la stessa Svezia fa affari con Israele, è tutta una questione di pretese. Di tutti i popoli che sono nei guai nel mondo la gente ha scelto i palestinesi, credendo a delle bugie alle quali credono i palestinesi stessi.”.

– Negli ultimi anni il conflitto israeliano-palestinese è passato un po’ sotto silenzio, forse perché dal 2014 il mondo è stato più concentrato sull’Isis e il terrorismo?
”È passato sotto silenzio perché è un conflitto triviale. Gli israeliani che possono uccidere in un colpo solo tutti i palestinesi senza un minimo sforzo, non lo fanno; mentre i palestinesi che vorrebbero distruggere lo Stato di Israele e vedere scorrere sangue non hanno nemmeno un briciolo di questa forza. Di conseguenza in uno scenario medioorientale sconvolto da una grande guerra civile in Siria, in Iraq e in Yemen, dove muoiono 200-300 persone al giorno, il conflitto Israele-Palestina è quasi niente. In questo quadro come può fare notizia l’uccisione di due persone in Siria?”.

– Israele è il più solido, anzi forse l’unico vero alleato degli Usa in Medio Oriente, crede che Trump continuerà a lasciarli fare?
”Si, perché gli Stati Uniti non ha ragione di intervenire, perché al momento muoiono più persone al giorno nella città di Baltimora. Sono i giornalisti che se ne occupano, perché i media del mondo sono lì, possono vivere lì e mandare i bambini a scuola. Quindi non appena c’è un morto, esce la notizia, la prima pagina, il servizio in televisione. Se muoiono 600 persone in Yemen, lo stesso giorno, la notizia finirà a pagina 22. Non è un fenomeno vero, è un fenomeno mediatico: se spegne la televisione il fenomeno non esiste, mentre anche con la TV spenta vedrebbe continuare ad arrivare migliaia di profughi siriani. I siriani stessi stanno prendendo in giro i palestinesi, che non stanno muovendo un dito per aiutare il popolo siriano. Quando al-Assad bombarda la città di Aleppo, i palestinesi non spendono nemmeno una parola. I palestinesi comparati a tutti gli altri arabi stanno benissimo, ma vorrebbero tenere tutti svegli la notte per i loro problemi”.

– Un’ultimissima domanda: quali sono le preoccupazioni più grandi degli Stati Uniti in politica estera?
”Corea e Cina rappresentano il 90% dell’agenda, il resto un 10%”.

* Vanessa Tomassini – www.laintervista.eu.