Cop23: ‘Infinite volte zero fa sempre zero’

di C. Alessandro Mauceri –

EDITORIALE. Volgono al termine i lavori della COP23, la 23ma conferenza mondiale sul clima
delle Nazioni Unite. Un’edizione che certo non passerà alla storia, come avvenne a Kyoto o anche a Parigi. E per molti motivi.
Il primo e più importante è che concentrare la presenza di migliaia e migliaia di persone a Bonn (nonostante a guidare la COP23 fossero le isole Fiji) non è servito a niente. “I negoziati sono cominciati con grandi difficoltà, per via dell’opposizione dei paesi sviluppati, compresi Stati Uniti, Canada, Australia e Unione europea, alla richiesta di effettuare una valutazione su cosa si sta facendo in questi anni per il clima”, ha dichiarato ClimateTracker.
Cene, pranzi ed eventi di “contorno”. Perfino la premiazione di una mostra fotografica. Tutto pur di non parlare del problema reale: ovvero che dopo due anni di lavori e incontri in giro per il pianeta, non c’è nessun accordo sottoscritto da tutti i paesi del mondo per ridurre realmente le emissioni di CO2 e farlo in tempi rapidi. Ormai tutti hanno capito che fare promesse a lungo termine non serve a niente. A ribadirlo sono stati i ricercatori dell’Union of Concerned Scientists e più di 1.500 scienziati indipendenti (tra i quali numerosi premi Nobel per le Scienze), che hanno ripreso il “World Scientists’ Warning to Humanity”. Nel 1992, gli scienziati chiesero all’umanità di ridurre l’impatto antropico sull’ambiente. Cinque lustri dopo, gli scienziati hanno dichiarato che l’umanità non ha fatto grossi passi avanti nella risoluzione generale delle maggiori sfide ambientali.
Sfide come la fame nel mondo. La situazione sta peggiorando come ha dichiarato il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, intervenendo alla COP23. “Il cambiamento climatico costringe milioni di persone in un circolo vizioso di insicurezza alimentare, malnutrizione e povertà. Dobbiamo guardare alla dura realtà: non stiamo facendo abbastanza per affrontare questa minaccia immensa”. Dati confermati dal rapporto “State of food security and nutrition . Sofi 2017” della Fao che dimostra che, per la prima volta in 10 anni, il numero di affamati è tornato a crescere: sono 815 milioni le persone che soffrono la fame ogni giorno”.
Cambiamenti evidenti ma qualcuno finge di non vedere. La delegazione statunitense presente alla COP23 ha ospitato e co-organizzato l’iniziativa “The Role of Cleaner and More Efficient Fossil Fuels and Nuclear Power in Climate Mitigation”, cui hanno partecipato Peabody Energy, una compagnia carbonifera, NuScale Power, un’impresa che si occupa di ingegneria nucleare, e Tellurian, che esporta gas naturale liquefatto. “Mentre il mondo cerca di ridurre le emissioni, pur promuovendo la prosperità economica, i combustibili fossili continueranno a svolgere un ruolo centrale nel mix energetico”. Holly Krutka, vice presidente coal generation and emissions technology di Peabody Energy, ha dichiarato che “Il carbone rimane una parte essenziale del mix energetico mondiale. La questione e la discussione oggi non devono essere su se usiamo il carbone, ma come”. Un’aperta propaganda dell’utilizzo dei combustibili fossili e del nucleare che a molti è apparsa come una provocazione. John Coequyt, direttore generale politica climatica di Sierra Club ha detto che “Niente può dimostrare meglio la sordità e l’isolamento di questa amministrazione più di un evento per celebrare i combustibili fossili durante questo importante meeting globale sul clima”. A fargli eco l’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, inviato speciale del segretario generale dell’Onu per le città e il cambiamento climatico, il quale ha detto che “Promuovere il carbone in un vertice climatico è come promuovere il tabacco in un vertice sul cancro”. È andata oltre un’altra associazione ambientalista: “Uno sputo in faccia alle vittime dei cambiamenti climatici”, lo ha definito Friends of the Earth.
Non è un caso se secondo alcune stime lo stand più affollato pare essere stato proprio quello degli oppositori delle politiche statunitensi.
Solo due, tra i 7 grandi, (altro segno del fatto che tutti sapevano già che dai lavori non sarebbe uscito niente) i paesi i cui capi hanno partecipato alla COP23: Francia e Germania. L’unica novità è che si sono presentati mano nella mano. Non fisicamente ma politicamente: Angela Merkel e Emmanuel Macron si sono presentati alla plenaria della COP23 per parlare insieme, ma anche loro non sono andati oltre promesse a lungo termine e frasi di rito.
Una debacle generale da parte dei capi di Stato che ha lasciato spazio ad altri attori. In molti hanno fatto notare che tra gli aspetti più rilevanti della COP23, ci sarebbe stato il sorpasso della società civile della Bonn Zone, quella animata da organizzazioni non governative, cittadini e iniziative dal basso, sulle delegazioni ufficiali.
Per il resto nulla di nuovo: belle parole, promesse di impegni ma niente di concreto. Non hanno avuto seguito neanche le richieste avanzate da chi sta già subendo le conseguenze dei cambiamenti climatici dovuti a fenomeni antropici. Come le piccole nazioni insulari o alcuni paesi arabi e africani, ma anche India e Brasile. “Paesi come gli Stati Uniti hanno chiesto alle nazioni in via di sviluppo di accantonare la questione per affrontarla in altra sede. A tale indicazione ha risposto la Malesia, sottolineando che da troppo tempo si è chiesto di discutere del problema altrove e che così si rischia di aspettare le calende greche: ‘Infinite volte zero fa sempre zero’”, ha dichiarato ClimateTracker.
Un immobilismo e un’apatia preoccupanti. Specie considerata la gravità della situazione.
Un’indifferenza manifesta anche nel caso di decisioni da significato intrinseco profondo: l’Organizzazione mondiale della Sanità e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici hanno annunciato di aver sottoscritto un Protocollo d’intesa per far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici. In altre parole, non essendo stati campaci di ridurre il surriscaldamento globale e sapendo che questo avrà conseguenze devastanti per la salute della popolazione mondiale, hanno ritenuto opportuno prepararsi alle conseguenze. Un approccio che suona come una sonora sconfitta.
Così come di sconfitta sembra trasudare anche la lettera del Segretario generale delle NU, Antonio Guterres, che parla di emissioni di CO2 che hanno raggiunto livelli mai visti se non in ere preistoriche, e di paesi non sono affatto sulla strada tracciata a Parigi dopo i lavori della COP21 (“we’re not on track to make the engagements made in Paris being implemented”). Un’ammissione di fallimento: stando così le cose non sarà possibile mantenere la promessa fatta due anni fa di non aumentare le temperature globali più di 1,5 gradi (cosa che avviene già ora): “And the engagements made in Paris are not enough for the objective which was established in Paris to make sure that climate change will not lead to an increasing temperature of over 1.5 degrees”.
Promesse, belle parole e sullo sfondo un’amarezza profonda che nasce dalla consapevolezza che dietro le belle parole pronunciate da molti dopo gli incontri di Bonn non c’è niente. E come avrebbe potuto? “Infinite volte zero fa sempre zero”.