Cop25: fallimento su scala globale

di C. Alessandro Mauceri

A Madrid, in Spagna, si sono spente le luci sulla COP25. Chi si aspettava grandi novità dall’edizione del 2019 è rimasto deluso. I giorni della COP21 sono lontani. Anche la presenza di Greta Thunberg, di ritorno dagli USA da cui è arrivata dopo una lunga traversata in barca a vela dal fiume Tago fino a Lisbona, non è riuscita a salvare la COP25 dal lento naufragio.
Tra le promesse dei (pochi) leader presenti, farcite di dichiarazioni mediatiche alle quali non crede più nessuno e gli appelli accorati del segretario generale Antonio Guterres, alla fine non si è giunti a nessun risultato concreto e soprattutto immediato. Sin dall’inizio dei lavori è apparso evidente che, al di là di chi sia realmente responsabile dell’aumento delle temperature medie (ammesso che possano esserci ancora dubbi), quello che è certo è che le misure promesse durante le decine e decine di riunioni e meeting tenuti finora non sono bastate a evitare l’aumento delle emissioni di CO2: il rapporto annuale del Global Carbon Project parla di 36,8 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2 alla fine del 2019, un livello mai raggiunto nella storia.
Anche l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), che ha comunicato che le concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera hanno raggiunto il livello record di 407,8 parti per milione nel 2018 (e continuano ad aumentare).
Le conseguenze sono innegabili: dall’innalzamento del livello del mare, accelerato dallo scioglimento delle calotte glaciali in Groenlandia e Antartide, all’aumento della temperatura e del pH dei mari. “Su base giornaliera, gli impatti dei cambiamenti climatici si manifestano in condizioni meteorologiche estreme e anormali”. I paesi che vanno dalle Bahamas al Giappone al Mozambico hanno subito l’effetto di devastanti cicloni tropicali. Incendi violenti attraversarono l’Artico e l’Australia”, ha dichiarato il segretario generale dell’OMM Petteri Taalas.
Come abbiamo detto più volte uno dei problemi fondamentali è la quantità di CO2 che un paese può emettere, i cosiddetti NDC. A Parigi, i leader mondiali promisero di rivedere questi limiti ogni cinque anni per adattarli alle esigenze del pianeta per adattarli alle necessità. Ebbene, non solo molti paesi si sono rifiutati di farlo, tanto che il Giappone “ha perfino affermato di non voler rivedere i propri NDC”, ha denunciato Lucile Dufour del Climate Action Network, rete di associazioni ambientaliste che partecipa alla COP25, ma la cosa più grave è che alla fine dei lavori, a Madrid non è stato raggiunto alcun accordo sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, quello riguardante l’ETS, l’Emissions Trading System, il sistema per lo “scambio di emissioni”. Questo sistema da alcuni definito “diabolico”, dato un livello di emissioni da non superare su scala globale, prevede la possibilità di effettuare scambi e compensazioni tra stati e aziende del “diritto ad inquinare”. In altre parole, consente ai paesi meno sviluppati e con minori emissioni di vendere le proprie “quote” ad imprese o stati che inquinano oltre i limiti consentiti.
É questo il nocciolo della questione: i paesi più “sviluppati”, maggiori responsabili delle eccessive emissioni di CO2 nell’ambiente, invece di adottare misure concrete o di ridurre le emissioni hanno preferito non fare nulla e continuare ad inquinare. Né alla Cop22 di Marrakech, nè alla Cop23 di Bonn, né alla Cop24 di Katowice. Ovviamente, però, nel farlo non hanno dimenticato di farcire i propri discorsi di belle parole, di titoli pieni di “verde”… e torna alla mente il Green deal europeo.
Chi sperava, anche viste le scadenze importanti e lo stato dell’ambiente, di vedere qualcosa di concreto a Madrid, al termine dei lavori della Cop25 è rimasto deluso: i discorsi sull’argomento, iniziati sabato scorso, si sono subito arenati sul disaccordo su diversi punti.
Intanto in tutto il pianeta la situazione continua a peggiorare. In Brasile, in Siberia, in Australia gli incendi stanno distruggendo centinaia di migliaia di ettari di bosco con conseguente aumento della CO2, e solo in Australia le emissioni sono aumentate del 50% su base annua. Ma i cambiamenti climatici hanno anche altre conseguenze: milioni di persone lavorano esposti a temperature eccessive, con conseguenze spesso mortali.
Ormai non è inusuale sentire parlare di “shock climatici” e di focolai di malattie infettive che nell’ultimo anno, insieme ad alcuni conflitti aperti, avrebbero causato, un aumento dei “bisogni globali” per circa 22 milioni di persone, come ha dichiarato Mark Lowcock ai giornalisti a Ginevra, in occasione del lancio dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari (OCHA) Global Panoramica umanitaria. “Nel 2020, quasi 168 milioni di persone in tutto il mondo avranno bisogno di assistenza e protezione umanitarie”, ha detto, “una persona su 45 sul pianeta. È la cifra più alta degli ultimi decenni”. E a pagare il prezzo più alto, come sempre, sono i bambini: i conflitti armati “stanno uccidendo e mutilando un numero record di bambini”, ha detto Lowcock.
Un altro rapporto, il Climate risk index, curato dall’organizzazione non governativa tedesca Germanwatch, parla di 500mila persone che hanno perso la vita negli ultimi 20 anni a causa degli oltre 12mila eventi meteorologici estremi. L’OMS, ha scritto in un rapporto che, nel 2016, 600mila bambini sotto i 15 anni sono morti a causa di malattie riconducibili all’inquinamento dell’aria. Solo in Italia l’esposizione al particolato, al biossido di azoto e all’ozono troposferico, avrebbe causato la morte di 76.200 persone solo in un anno, secondo l’Agenzia europea per l’ambiente.
“Il cambiamento climatico non sta solo accumulando un conto per le generazioni future da pagare, è un prezzo che le persone stanno pagando ora con la propria salute”, ha detto Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Secondo alcuni, la COP25 era l’ultima opportunità per fare qualcosa di concreto per l’ambiente. Ma i paesi più potenti (economicamente) del pianeta hanno deciso di non approfittarne: Stati Uniti d’America, Russia, Australia, Brasile, India, Cina, Arabia Saudita e anche l’Europa il cui “Nuovo patto verde”, a leggere bene i numeri, non pare poter fare molto.
Le parole su Twitter del Segretario Generale delle NU Guterres trasudano sconforto e delusione: “I have come back to #COP25 to appeal for a successful conclusion of the conference and increased #ClimateAction and ambition”. “The enormous opportunities linked to #ClimateAction are overlooked too often”, ha detto oggi Guterres.
Il punto è che a chi inquina sembra non importare nulla delle conseguenze. Per questo dopo la COP25 la situazione non cambierà. E la gente sembra averlo capito. Anche le beghe e le liti della piccola Greta con questo o quel capo di stato (prima con Bolsonaro poi con Trump) non servono ad altro che a fare spettacolo. Ma al pianeta queste sceneggiate non servano più. Servono fatti concreti.
A ben guardare, ora che i riflettori a Madrid si sono spenti, il compito dei leader mondiali non sarà facile: convincere i cittadini che i governi si sta facendo qualcosa di concreto per l’ambiente non sarà affatto facile.