Corea del Nord. Al Consiglio di sicurezza per gli Usa ‘siamo vicini alla guerra’. Ma Mosca frena

di Guido Keller

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non ha ancora deciso quali misure intraprendere nei confronti della Corea del Nord dopo l’ennesimo lancio di un missile balistico di due giorni fa, uno Hwasong-15 arrivato a 250 chilometri dalle coste giapponesi ma in grado di volare per 13mila chilometri e di portare, come ha spiegato lo stesso regime di Pyongyang, “una testata nucleare pesante e di grandi dimensioni”.
Sul piano politico internazionale la situazione è quella di sempre, con gli Usa che vorrebbero ulteriori misure punitive nei confronti della Corea del Nord, e con La Cina e la Russia che si mostrano caute al fine di non inficiare le possibilità di un dialogo e quindi di arrivare a una de-escalation.
Al Palazzo di Vetro l’ambasciatrice Usa Nikki Haley ha usato parole durissime, affermando addirittura che “il dittatore della Corea del Nord ha fatto una scelta che porta il mondo più vicino alla guerra”, anche perché il missile lanciato rappresenta effettivamente una minaccia in quanto in grado di colpire gli Stati Uniti.
“Non abbiamo mai cercato la guerra e ancora oggi non la cerchiamo – ha insistito Haley -. Se la guerra arriverà sarà a causa delle continue azioni di aggressione come quella a cui abbiamo assistito. E se la guerra ci sarà, il regime della Corea del Nord sarà completamente distrutto”.
L’ambasciatrice ha poi ripreso la richiesta di introduzione di nuove sanzioni, preannunciata subito dopo il test dal segretario di Stato Rex Tillerson, che consisterebbero in un blocco completo delle forniture alla Corea del Nord, anche dei generi di prima necessità a cominciare dal petrolio. Prodotto quest’ultimo che Pyongyang acquista dalla Cina, per cui Haley ha osservato che “la Cina può fare questo da sola oppure possiamo prendere in mano la situazione petrolifera”.
Contestualmente il presidente Usa Donald Trump, che ha definito Kim Jong-un un “cagnolino arrabbiato”, ha twittato l’idea di introdurre nuove sanzioni , ma ha anche chiesto che i vari paesi alleati ritirino i rispettivi ambasciatori. Già ieri il ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano aveva fatto sapere che era stata sospesa la procedura di accredito del nuovo ambasciatore nordcoreano in Italia.
Sergei Lavrov, ministro degli Esteri della Russia e quindi di un paese che al Consiglio di sicurezza ha diritto di veto, ha tuttavia frenato sulla crisi, osservando che “Se gli Usa stanno cercando un pretesto per distruggere la Corea del Nord, che lo dicano apertamente”. Anche in merito all’introduzione di nuove sanzioni Lavrov ha parlato di strada sbagliata e non indirizzata al dialogo, ed ha spiegato di ritenere che “questo sia un grosso errore”.
Per Lavrov le iniziative degli Usa contro la Corea del Nord sono “intenzionalmente provocatorie”, e l’ambasciatore all’Onu Vasily Nebenzya ha detto che “Nella situazione attuale chiediamo a tutte le parti coinvolte di fermare le crescenti tensioni” al fine di riavviare il “dialogo politico e diplomatico”,
Nebenzya si è rivolto quindi alla Corea del Sud Seul chiedendo di evitare un’escalation astenendosi dalle esercitazioni previste per dicembre, “per non infiammare una situazione già esplosiva”.
D’altro canto ad essere tecnicamente debole è proprio la posizione degli Stati Uniti, dal momento che la Corea del Nord si trova ancora ufficialmente in guerra con gli Usa e la Corea del Sud in quanto non è mai stata firmata la pace dal conflitto 1950 – 1953. Contestualmente gli Usa mantengono nelle proprie basi in Corea del Sud circa 33mila militari, da anni vengono compiute esercitazioni navali e militari e soprattutto lì gli Usa hanno istallato armi di ogni genere, in pratica sotto la casa del nemico.
Non solo: siccome finché c’è guerra c’è speranza, come recitava un film di Alberto Sordi, grazie alla crisi gli Usa stanno facendo affari d’oro vendendo armi e sistemi missilistici da difesa un po’ ovunque nella regione.
Da parte sua il regime nordcoreano utilizza la retorica da guerra anche in chiave interna per giustificare al suo popolo, costretto specie nelle aree rurali alla fame, le ingenti spese militari.