Corea del Nord. Il consiglio di sicurezza approva le (deboli) sanzioni

di Enrico Oliari

Dopo il test nucleare del 3 settembre in cui i nordcoreani hanno fatto esplodere una bomba all’idrogeno da 160 chilotoni, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato un pacchetto di sanzioni molto mitigato rispetto ai desiderata degli Stati Uniti. Infatti per evitare che Russia e Cina ponessero il veto, l’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Nikki Haley, ha dovuto smussare non pochi angoli alla sua proposta, a cominciare dall’embargo all’importazione di petrolio, che non sarà totale bensì consentirà “la fornitura, il trasferimento o la vendita alla Corea del Nord di tutti i derivati del petrolio sino a 500mila barili per un periodo di tre mesi dal primo settembre, e sino a 8.5 milioni di barili l’anno a partire dal primo gennaio 2018. A patto che siano impiegati per il sostentamento della popolazione e non servano a generare profitto da investire in programmi nucleari”. Sarà difficile appurare se il petrolio consentito finirà negli ospedali e nei siti nucleari, ma almeno non c’è stato il blocco totale che avrebbe lasciato senza energia 25 milioni e mezzo di abitanti, già soggetti ad un parziale embargo sull’importazione del carbone dalla Cina.
Cassata anche la proposta di congelare gli asset dei membri del regime, compreso del leader Kim Jong-un, come pure è stato cancellato il divieto di uscire dal paese, mentre il vero colpo per l’economia nordcoreana riguarda il settore del tessile, i cui prodotti non potranno essere esportati per un danno alle casse del paese di 752 milioni di dollari l’anno.
Per quanto riguarda le ispezioni delle navi dirette in Corea del Nord, per cui gli Usa chiedevano l’uso della forza militare per fermarle e far salire gli ispettori, è stato stabilito che i controllo potranno essere effettuati senza l’uso della forza e con il consenso del paese di cui batte la bandiera la nave, un elegante nulla di fatto.
La risoluzione n. 2375 è stata approvata all’unanimità, ma la formula che ne è uscita rappresenta la spaccatura vera e propria in particolare fra l’impostazione russa e quella statunitense. Gli Usa infatti volevano una punizione vera nei confronti del regime di Pyongyang, ma la loro posizione resta debole in quanto tecnicamente continuano ad essere loro a minacciare la Corea del Nord, paese ufficialmente in guerra con il vicino a sud dal 1953, con i 33mila uomini presenti delle oltre 50 basi lì dislocate, i sistemi missilistici e le continue esercitazioni congiunte.
La Russia, che confina con la Corea del Nord, vorrebbe invece mantenere il dialogo aperto coinvolgendo il regime in opere strategiche di sviluppo e nei commerci bilaterali, e vorrebbe soprattutto la denuclearizzazione della penisola, anche della parte sudcoreana.
Il premier giapponese Shinzo Abe ha parlato di misure “significativamente rigorose”, mentre il regime dei Kim si è espresso con un “infliggeremo agli Stati Uniti le sofferenze che loro stanno imponendo al popolo nordcoreano”.