Corea del Nord. Trump fa volare i bombardieri, è il gioco delle provocazioni

di C. Alessandro Mauceri

Ennesima provocazione del tycoon Trump nei confronti della Corea del Nord ma soprattutto della Cina.
Due bombardieri B-1B dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti (Usaf) hanno sorvolato la penisola coreana in “risposta diretta” ai recenti test missilistici nordcoreani. A diffondere la notizia è stata la stessa Usaf.
I due bombardieri americani, partiti da una base aerea statunitense a Guam, hanno volato a bassa quota sulla Corea del Sud affiancati da jet giapponesi e sudcoreani. “La Corea del Nord resta la minaccia più urgente per la stabilità regionale”, ha detto il comandante delle Forze aeree del Pacifico (Pacaf), generale Terrence J. OShaughnessy.
Appare evidente che si è trattato di una prova di forza, di una provocazione rivolta verso la Corea del Nord: poche settimane fa, a pochi giorni dal lancio di prova dell’Icmb nordcoreano, bombardieri Usa e della Corea del Sud avevano sganciato bombe inerti vicino al confine demilitarizzato tra la Corea del Nord e la Corea del Sud ed erano poi rientrati scortati da aerei giapponesi.
Tuttavia il messaggio è rivolto probabilmente non solo ai nordoreani bensì soprattutto alla Cina.
Appena diffusa la notizia, il presidente degli Stati Uniti ha commentato su Twitter che “Nei riguardi della Cina sono molto deluso, i nostri folli leader passati le hanno consentito di guadagnare centinaia di miliardi di dollari l’anno con il commercio ma loro non hanno fatto nulla per noi nei confronti della Corea del Nord, solo chiacchiere. Non permetteremo più che questo continui. La Cina potrebbe facilmente risolvere questo problema!”.
Una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di ciò che sta avvenendo da settimane. E che non riguarda solo la Corea del Nord e gli Usa.
I primi giorni di luglio gli Usa hanno annunciato di aver simulato la distruzione di un ICBM nordcoreano e lanciato dall’Alaska un intercettatore Thaad (Difesa d’area terminale ad alta quota – terminal high altitude area defence). Uno strumento che gli americani hanno immediatamente piazzato nella Corea del Sud a seguito dell’accordo con l’allora presidente Park Geun-hye. Un gesto che segue quelli compiuti tra gennaio e aprile quando sono state tenute ben quattro esercitazioni militari di grande ampiezza nell’area; a marzo gli Usa hanno inviato nell’area anche una portaerei nucleare.
Appare evidente che far sorvolare a dei bombardieri spazi aerei vicini a quelli nordcoreani non può non essere considerato un atto di forza ai limiti della provocazione o della dichiarazione di guerra.
Un gesto che il presidente Trump si è guardato bene dal compiere nei confronti di altri paesi altrettanto potenzialmente pericolosi e armati quali Pakistan, India, Cina e Israele, tutti impegnati ad effettuare test analoghi a quelli nordcoreani e tutti dotati di un arsenale nucleare considerevole e che, come gli Usa del resto, hanno votato contro gli accordi per l’eliminazione delle armi nucleari.
Il gesto dell’invio dei bombardieri, come quelli precedenti, sembra piuttosto una blanda giustificazione per aumentare il proprio contingente nell’area. Da tempo, infatti sono in corso dispute accese non con la Corea del Nord, bensì tra gli Usa e la Cina: solo un paio di settimane fa la nave della marina militare americana USS Stethem aveva navigato nel mare della Cina Meridionale a meno di 12 miglia nautiche dall’Isola di Tritone, occupata da Pechino. Un comportamento che la Cina aveva definito come “una seria provocazione militare e politica”, affermando che operazioni del genere “violano la sovranità della Cina e minacciano la sua sicurezza”. In quell’occasione le autorità cinesi hanno dichiarato che sarebbero state prese “tutte le misure necessarie per la difendere la sovranità del Paese e la sua sicurezza”.
Un funzionario americano aveva dichiarato all’agenzia di stampa Afp che l’operazione aveva lo scopo di dimostrare la libertà di navigazione nelle acque contese. Anche in quell’occasione, nella telefonata tra Donald Trump e Xi Jinping che ne era seguita, il presidente americano aveva rinnovato la richiesta che la Cina facesse di più di fronte alla “crescente minaccia” della Nord Corea e aveva chiesto che la Cina esercitasse pressione su Pyongyang per farla desistere dal proprio programma missilistico.
Oggi appare evidente che, resosi conto che i buoni rapporti istaurati con la Cina non andranno oltre i meri scambi commerciali (confermati poche settimane fa) e che Pechino non ha alcuna intenzione di rischiare il crollo del regime “cliente” di Kim Jong-un, Trump ha deciso di cambiare strategia.
Così dopo aver lanciato un tweet ambiguo (“Non ha funzionato”), il presidente americano ha deciso di esercitare ulteriori pressioni sulla Cina. E lo ha fatto imponendo sanzioni americane ad una banca cinese accusata di “ripulire” denaro nordcoreano e poi aiutando militarmente Taiwan per 1,4 miliardi di dollari; subito dopo, in una telefonata “calda”, Xi ha premuto perché la Casa Bianca adottasse la politica “Una Cina” ovvero riconoscendo il governo di Pechino come legittimo per Taiwan.
Sono questi i fatti che hanno preceduto la decisione di sorvolare lo spazio aereo nordcoreano con degli aerei da combattimento. Un altro modo di provocare l’“alleato cinese” visto l’insuccesso delle pressioni diplomatiche e commerciali.
Un comportamento, quello degli Usa, nei confronti del quale nessuno dei paesi paladini dei diritti internazionali né le Nazioni Unite hanno osato esprimere alcun giudizio.