Dialogo a 360 gradi e cooperazione sud sud: il dinamismo del Marocco. Intervista all’ambasciatore Abouyoub

di Enrico Oliari

Investimenti multisettoriali, stabilità e capacità di coltivare rapporti diplomatici a 360 gradi: questi gli ingredienti del dinamismo del Marocco, che nel primo trimestre 2016 è cresciuto del 6,6% e che rappresenta il secondo obiettivo degli investimenti stranieri del continente. Una terra che va oltre l’immaginario e la realtà di posti incantevoli, colori unici e antiche tradizioni. Un paese che sa stare al passo dei tempi pur valorizzando la propria storia, che sa dialogare forte del proprio ruolo di hub per l’Africa e di collegamento tra il nord e il sud di questa parte del globo.
Ma anche teatro, a sud, del conflitto aperto per l’ex Sahara spagnolo, oggi marocchino, che il Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro) vorrebbe indipendente servendosi delle interferenze algerine; terra a rischio della presenza di correnti legate all’Islam radicale se non al terrorismo; realtà che ancora vede movimenti chiedere maggiori libertà individuali e il rispetto dei diritti civili.
Di tutto questo e delle recenti iniziative diplomatiche di re Mohammed VI abbiamo parlato con l’ambasciatore del Marocco in Italia, Hassan Abouyoub, il quale ci ha accolto presso il bellissimo edificio di rappresentanza costruito negli anni Venti nel quartiere Coppedé, in un curioso liberty fatto di mattoni di tufo e colonnette in travertino.

– Ambasciatore Abouyoub, di recente re Mohammed VI si è recato a Ryad dove ha incontrato il Consiglio per la cooperazione dei paesi del Golfo (Ccg). Cosa ci può dire in proposito?
“I rapporti con i paesi del Ccg sono eccezionali, basati su una visione comune del mondo e alla luce della religione che ci unisce; il Marocco partecipa anche alla Lega Araba e alle varie conferenze: è normale che in un momento storico di cambiamenti e di novità per il mondo arabo ci si confronti per una sintonia più ampia e, anche alla luce della minaccia alla sicurezza globale, che si cerchino momenti di confronto e rapporti più stretti.
Vorrei aggiungere che, essendo il Marocco la piattaforma più stabile del mondo arabo fuori dal Golfo, nella visita si sono disegnati investimenti indirizzati verso il nostro paese”
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– Poi dal Golfo il re è andato in Cina, dove ha stretto importanti relazioni commerciali e diplomatiche…
“Penso che non tutti abbiano interpretato il significato di questo viaggio in Cina. Forte perché c’è chi non è a conoscenza della storia diplomatica del Marocco. I primi momenti risalgono al 1600, quando avevamo aperto la prima ambasciata a Londra, ma vi è anche una lunga tradizione diplomatica con l’Africa e la Spagna. Quindi la visita del re in Cina risponde alla vocazione del Marocco di avere un dialogo aperto e un partenariato attivo con tutti i paesi del mondo che condividono valori e interessi mutuali. Il Marocco ha riconosciuto la repubblica Popolare Cinese nel 1958, e da allora vi sono rapporti all’insegna del rispetto reciproco ed un’amicizia consolidata. La visita del re è stata concepita per fortificare il partenariato strategico, cioè per andare incontro al desiderio cinese di investire in Marocco e di aprire la sua economia al Regno sfruttando la posizione geografica del paese in funzione dei rapporti con l’Africa. Il Marocco è il paese più attivo e con maggiori capacità inventive del continente, anche in considerazione della cooperazione sud-sud. Il proposito è quello di dar vita ad un quadro di sviluppo rivolto all’intera area”.

– E forse aiuta il riconoscimento della Cina, membro permanente del Consiglio di sicurezza, alla posizione del Marocco sulla questione del Sahara marocchino, specie dopo le parole di Ban Ki-moon il quale, nella sua recente visita in Algeria, ha sostanzialmente preso le parti del Polisario?
“Ban Ki-moon ha sbagliato, a livello storico, diplomatico, ma soprattutto in relazione al ruolo del numero uno dell’Onu, che è chiamato ad osservare un atteggiamento di neutralità. Ha preso quindi le parti in un conflitto vecchio come pochi altri. Tant’è che la Risoluzione del Consiglio di sicurezza di fine aprile ha dato la risposta giusta all’atteggiamento di Ban Ki-moon”.

– Quali sono oggi i rapporti con l’Algeria?
“Rimangono nel mondo due confini chiusi, uno tra le due Coree ed uno tra il Marocco e l’Algeria. Noi abbiamo fatto l’impossibile per convincere i fratelli algerini ad aprire la frontiera, ma loro hanno considerato che questo non è il momento idoneo, indicando ragioni diplomaticamente fragili.
L’Algeria porta sulle sue spalle la responsabilità di non voler risolvere una delle questioni chiave che interessa il Maghreb, cioè il Sahara, per essere il paese leader della zona”
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– Voi come soluzione per il Sahara proponete l’autonomia della regione nel contesto territoriale del Marocco?
“Non noi, ma l’Onu, il Consiglio di sicurezza e gli inviati speciali hanno concluso l’impossibilità di risolvere la questione con un referendum per le difficoltà di stendere una lista del corpo elettorale. Più concretamente il problema sta nella decisione dell’Algeria di chiudere i sharawi, che non sono profughi ma de facto incarcerati, dentro i campi di Tindouf. Coloro che hanno lasciato il Marocco e che quindi sono identificabili come sharawi sono al momento meno di 20mila, mentre il resto sono sharawi algerini, arabi del Mali e membri di una popolazione mauritana che vanno e vengono: tutti questi costituiscono la grande popolazione di Tindouf, cosa che l’Algeria sa benissimo e per cui ha ostacolato in tutti i modi il censimento dell’Unhcr. L’Alto commissariato è nell’obbligo di andare da ogni sharawi, di chiedere se vuole rimanere in Algeria, tornare in Marocco o cosa fare, ma questo non gli è mai stato permesso”.

– Tra l’altro il sud del Marocco è diventato oggetto di investimenti,q quindi appetibile per chi vuole tornare a casa…
“Nel Sahara marocchino vi è chi è rimasto, chi ha investito, e lì vi è la maggior partecipazione democratica nelle occasioni elettorali. L’alfabetizzazione è al top del paese, l’indice di sviluppo umano è il più alto del Marocco”.

– Parliamo di terrorismo: i servizi segreti del Marocco hanno sventato attacchi, ma anche informato in più occasioni quelli della Spagna e persino quelli del Belgio prima delle stragi di Bruxelles. E’ pericoloso andare in Marocco?
“Non è più insicuro di essere a Roma: il terrorismo, nelle sue variegate forme, può colpire ovunque, ma ci sono sistemi più capaci di lavorare sulla prevenzione e nel creare nel paese un ambiente favorevole all’auto-sicurezza. E’ il caso dell’Italia, che dal dolore dei tempi delle Brigate Rosse ha tratto un’importante preparazione.
Noi consideriamo il terrorismo il frutto di una complessità ampia, e combatterlo significa avere un approccio di carattere olistico, soprattutto per essere in grado di anticipare: il fatto religioso è quindi molto importante, e noi abbiamo lavorato per impedire che in Marocco si instaurasse un Islam dalla lettura distorta, ad esempio aprendo una – chiamiamola così – “scuola per imam moderati”, dove è insegnata una religione in sintonia perfetta con i nostri valori costituzionali. Il re è il Principe dei Credenti, non dei musulmani, ed ha l’obbligo di proteggere la libertà religiosa di tutti; per questo è facile trovare in Marocco una moschea con vicino una chiesa e poco più in là una sinagoga: al momento per noi non è stato indispensabile schierare un esercito a protezione della cattedrale di San Pietro a Rabat, non c’è neanche un poliziotto”
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– Le relazioni sud-sud sono il fiore all’occhiello del Marocco ed anche il re ha compiuto di recente un viaggio in più paesi per stringere o fortificare relazioni. Ci può dire qualcosa in proposito?
“La cooperazione sud-sud è una realtà sacra. Per motivi di storia, di cultura, di vicinanza, ma anche per la missione che il Marocco ha sempre avuto al di là degli aspetti di geopolitica: abbiamo istituito una rete bancaria in grado di coprire 38 paesi, abbiamo investito in diversi settori tra i quali i trasporti, i minerali, l’agricoltura, non per far soldi, ma per contribuire allo sviluppo umano.
Oggi in Africa vi sono un miliardo e 200 milioni di abitanti, per il 2050 ne sono previsti tre miliardi, per la fine del secolo 5 miliardi, cioè un quarto della popolazione mondiale, una realtà che non può essere ignorata. Per questo il Marocco ha deciso di legare il suo destino al resto dell’Africa e di diventare un hub importante: siamo il secondo paese di destinazione degli investimenti dopo il il Sudafrica, il primo per i settori dell’energia, dell’automobile, dell’aeronautica”
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– In novembre il Marocco ospiterà la Cop22, e la politica del Regno punta molto sulle energie rinnovabili…
“Per noi si tratta di una scelta strategica, e puntiamo ad arrivare nel 2030 al 52% delle energie rinnovabili. Ma ha anche un significato sociale e, com’è stato menzionato nella Costituzione del 2011, la parola “sostenibilità” è per noi d’oro, perché noi ci troviamo in una zona non favorevole sia per le risorse energetiche che idriche. Siamo quindi i più esposti ai cambiamenti che potrà presentare il futuro, e per questo abbiamo intenzione di trattare bene le nostre risorse, senza sprecare come hanno fatto altri”.

– Un investitore straniero trova agevolazioni fiscali?
“Come dicevo, siamo la seconda piattaforma per investimenti del continente. Non abbiamo scoperto l’acqua calda sulle agevolazioni, ma la competitività non si fa con l’assistenzialismo, bensì con la qualità prevalente dell’ambiente, sia a livello dello stato di diritto, cioè giudiziario, sia a livello delle infrastrutture e sia capitale umano, di altissima qualità. Abbiamo sempre investito nell’educazione e nella formazione, ma anche qui stiamo per dare il via a delle riforme per affrontare il cambiamento culturale globale che è in corso. Le sfide sono considerevoli”.