Diritti del Fanciullo: la classifica dei paesi per rispetto della CRC. E le sorprese non mancano

di C. Alessandro Mauceri

Il 20 Novembre 1989 l’assemblea congiunta delle Nazioni approvò la Convenzione dei Diritti del Fanciullo, ancora oggi il trattato ratificato dal maggior numero di paesi: ben 195 paesi su 196 hanno firmato questo accordo e lo hanno trasformato in legge all’interno dei confini nazionali. In Italia venne ratificata solo il 27 maggio del 1991 con la legge 176. Piano piano, anno dopo anno, tutti gli altri paesi hanno fatto lo stesso. Ultimo in termini di tempo il Sud Sudan, nel 2018. Unico assente (ingiustificato) gli Stati Uniti d’America: pur avendolo siglato l’accordo non lo hanno mai convertito in legge.
Tuttavia il fatto che così tanti stati si siano dotati di una legge che prevede il rispetto dei diritti dei minori non vuol dire che questi non siano poi costantemente violati.
Sotto questo profilo, l’Italia è una eccezione, in senso positivo: a tutelare e sorvegliare il rispetto dei Diritti dei Minori c’è un organo indipendente costituito da un centinaio di Associazioni che ogni anno presenta al Parlamento un report con il quale segnala eventuali carenze e problemi legati all’applicazione della CRC (come viene comunemente chiamata la Convenzione dei Diritti del Fanciullo).
A fare la stessa cosa a livello globale è l’organizzazione internazionale per i diritti dei bambini KidsRights: ogni anno insieme all’Università di Rotterdam analizza il rispetto della CRC sulla base di venti parametri (13 quantitativi e sette qualitativi, suddivisi in cinque macro-aree: vita, salute, educazione, protezione e “abilitazione dell’ambiente dei diritti dei minori”). Il rapporto finale contiene non solo le “performance” dei vari paesi, ma anche una sorta di classifica globale. Una analisi particolarmente importante in un momento, come quello attuale, in cui anche i diritti dei bambini sono gravemente colpiti dall’epidemia di coronavirus. Come ha confermato pochi giorni fa Marc Dullaert, presidente dell’Organizzazione internazionale per i diritti dei bambini KidsRights, durante la presentazione del KidsRights Index 2020.
Il rapporto appena pubblicato mostra che molti governi destinano budget insufficienti a garantire che i diritti dei minori siano rispettati, in settori come la protezione, la salute e l’istruzione. “Questa crisi riporta indietro gli anni di progressi compiuti sul benessere dei bambini. Pertanto è più che mai necessaria una forte attenzione per i diritti dei minori. Tuttavia finché i governi stanno lottando per mantenere il loro sistema sanitario e l’economia in funzione, è discutibile fino a che punto sono in grado di fornire questo focus”, avverte Dullaert.
Le misure adottate dai governi per frenare la diffusione del Covid-19 hanno avuto un impatto disastroso: la chiusura delle scuole in 188 paesi, ad esempio, ha colpito 1,5 miliardi di bambini e adolescenti, e ha reso molti ragazzi e ragazze vulnerabili allo sfruttamento minorile, a matrimonio precoci ed esposti al rischio di essere vittime di violenze domestiche.
In altri paesi la sospensione dei programmi di vaccinazione per malattie come la poliomielite o il morbillo potrebbe causare un aumento del contagio e centinaia di migliaia di nuovi casi di mortalità infantile. Le Nazioni Unite prevedono che saranno da 42 a 66 milioni i bambini che rischiano di cadere in povertà estrema a causa della crisi legata al corona virus.
Ciò che sorprende di più sono le variazioni nelle posizioni di alcuni paesi nella classifica finale. Se da un lato alcuni paesi hanno confermato la posizione di vertice, altri hanno avuto un crollo verticale. Non sorprende trovare al primo posto assoluto l’Islanda, seguita dalla Svizzera e da molti paesi scandinavi. Ottima la performance anche di Germania e Olanda (rispettivamente quinta e senta). Sorprendente in positivo il risultato della Thailandia (ottava) e della Repubblica di Corea (tredicesima).
Stupisce invece il passaggio dell’Australia dal 19mo al 135mo posto, la causa è da cercare nel modo di gestire i richiedenti asilo, i rifugiati e i migranti e nella discriminazione contro i bambini aborigeni. Effetti ancora peggiori ha avuto la discriminazione e la stigmatizzazione dei bambini rom e zingari nel Regno Unito che hanno fatto precipitare il paese al 169mo posto. Performance negativa anche la Nuova Zelanda: solo 168ma, al di sotto di paesi come la Colombia (33ma), l’Egitto (36mo nonostante gli scontri in atto) o il Botswana (82mo). Ultimi assoluti (ma questo non sorprende) Afganistan e Ciad.
Decisamente positiva la situazione in Italia: i ricercatori hanno apprezzato espressamente i progressi significativi in quattro delle cinque macro aree analizzate e hanno assegnato al Bel Paese il 16mo posto assoluto, “nonostante le campagne diffamatorie contro le organizzazioni che cercano e salvano i migranti, compresi i bambini nel Mediterraneo”.
Una delle maggiori preoccupazioni in tutti i paesi del mondo rimane la discriminazione delle adolescenti: in 91 dei 182 paesi analizzati le ragazze sono discriminate e non godono degli stessi diritti dei coetanei di sesso maschile. In alcuni paesi poi le ragazze non hanno gli stessi diritti ereditari dei ragazzi e soffrono di un livello inferiore di accesso all’istruzione e spesso le leggi vigenti le pongono in condizione di disparità.
Grandi assenti in questa classifica gli Stati Uniti d’America: essere l’unico paese delle Nazioni Unite ad aver firmato ma mai ratificato la Convenzione dei Diritti del Fanciullo non ha permesso ai valutatori di inserirli in graduatoria. Di sicuro però alcune scelte riguardanti i minori adottate dai “paladini dei diritti umani”, basti pensare che in alcune scuole sono state reinserite le pene corporali per gli alunni, non avrebbero evitato agli USA di finire nelle ultime posizioni.