E se l’Italia passasse coi Brics?

di Marco Pugliese

L’elezione di Donald Trump alla casa Bianca potrebbe portare un allentamento dei rapporti tra Usa e Ue, di conseguenza paesi come l’Italia potrebbero inserirsi in eventuali maglie della rete internazionale commerciale.
I Brics nacquero nel 2002 in Asia, ed al principio furono India, Cina e Russia: erano l’asse portante di un’organizzazione che promosse una cooperazione economica alternativa alla quale si aggregarono in seguito il Sudafrica ed il Brasile. L’apparato cosi strutturato venne creato in contrapposizione all’ egemonia occidentale politica e sui mercati, cioè di Usa ed Ue Ue.
Tra il 2002 ed il 2013 l’occidente ha rafforzato la propria presenza militare in quasi tutti i teatri mondiali, ed oggi, oltre al Pacifico a trazione Usa, vi sono truppe occidentali in Afghanistan, Iraq, Libano, Africa
occidentale eccetera. I Brics fino a tutto il 2013 non hanno assunto altra forma che quella economica sul modello della vecchia Cee, ma dal 2014 vi è stata un’inversione di tendenza, cioè il proposito di creare in parallelo una forza militare in grado di bilanciare il blocco occidentale. La Cina, secondo gli analisti, non è ancora al livello delle super potenze motivo per cui il presidente russo Vladimir Putin ed il ministro degli esteri Sergei Lavrov hanno accresciuto il loro impegno dando vita a joint venture tra aziende russe e cinesi
nel settore militare e strategico; i russi in pratica si comportano come gli Usa in Europa, con il vantaggio però d’aver una rappresentanza nell’organizzazione più globale. La strategia Brics infatti è “a
cascata”, ovvero la Cina s’occupa, ad esempio, d’investimenti infrastrutturali in Sud Africa e Brasile, la Russia opera per tenta una copertura militare.
Il progetto è ambizioso e l’attuale conflitto siriano è diventato un test molto importante: Mosca andava da tempo cercando la possibilità di accrescere la propria presenza nel Mediterraneo orientale, ed in Siria, dove aveva fin dai tempi dell’era sovietica la base di Tartus, ha trovato la possibilità di implementare la propria presenza con la costruzione di una base aerea a Latakia.
La reazione di Usa e Ue è stata quella di non consentire il rifornimento delle navi russe di passaggio, ma l’impressione che si ha è che il blocco occidentale non abbia colto nel segno.
D’altronde gli occidentali appaiono divisi, da una parte i personalismi militari di Parigi e Londra, l’austerità economica di Berlino e l’eterna indecisione italiana. Con la Grecia ormai a fondo, Putin ha tentato nel 2015 un colpo di mano economico proponendo ad Atene l’entrata dei Brics, ma i greci preferirono (anche perché non potevano) non rompere con Bruxelles; qualcuno ritiene che prima o poi la Grecia tornerà nel mirino
dei Brics, magari in funzione della costruzione di un gasdotto proveniente dalla Russia – Turchia. Rimangono le enormi diversità tra i cinque paesi fondatori: la Cina, per esempio, detiene il 55% del PIL e il 65% del commercio estero, produce oltre il 50% dell’energia e finanzia il 50% delle spese militari. L’India, che nel 2025 supererà la popolazione cinese, resta decisamente inferiore a Cina, Brasile e Russia, sia per PIL, che per dimensioni territoriali e disponibilità di risorse naturali.
E l’Italia? Non è un mistero che Putin vorrebbe per l’Italia il ruolo di baricentro e di congiunzione nel Mediterraneo, un progetto a lungo termine che valorizzerebbe ulteriormente, nella sua ottica, Eni e Leonardo (Finmeccanica), come pure il mercato agroalimentare e il settore del turismo.
Siamo forse alla fantapolitica, perché l’Italia dovrebbe sganciarsi da Bruxelles sul modello inglese, agganciarsi alla Banca Centrale Brics, con sede in Cina dal 2016.
Tale banca, attualmente “Banca di Sviluppo”, ha un capitale iniziale di 50 miliardi di dollari è potrà contare su un fondo strategico di capitali di riserva per far fronte a eventuali crisi valutarie e alle pressioni a breve termine sulla liquidità, il Contingent Reserve Arrangement (CRA, Accordo sui Fondi di Riserva), con un potenziale di 100 miliardi di dollari.
La Cina contribuirà al fondo per 41 miliardi, Brasile, India e Russia per un ammontare di 18 ciascuno e il Sudafrica per 5 miliardi. L’Italia potrebbe entrare con circa 18/19 miliardi di dollari (il costo di una
fornitura d’aerei, più o meno) e operare da zero, ovvero creandosi un proprio mercato d’area.
Roma potrebbe svincolarsi dalla BCE tornando ad avere una sovranità monetaria non autarchica, agganciata al circuito economico Brics.