Egitto. Terroristi sparano su bus di cristiani copti, 35 morti tra cui bambini

Notizie Geopolitiche

L’Egitto è oggi sconvolto da un nuovo, gravissimo attentato. Un commando di una decina di uomini armati ha attaccato questa mattina a Minya, città di quasi 200mila abitanti a circa 250 chilometri a sud del Cairo, un bus sul quale viaggiavano una quarantina di cristiani copti che dalla città di Beni Suef si stavano recando in pellegrinaggio al monastero di San Samuele.
Da quanto si è appreso i terroristi, che erano coperti in volto, hanno sparato con fucili semiautomatici all’impazza contro il mezzo uccidendo 35 degli occupanti, tra i quali molti bambini.
I feriti sono stati trasportati presso l’ospedale di Maghagha, mentre esercito e polizia hanno bloccato tutte le vie d’accesso alla città per impedire ai terroristi di uscire.
Solo ieri nel sinai jihadisti hanno attaccato un convoglio militare uccidendo 4 soldati nel Sinai, mentre il 9 aprile, Domenica delle Palme, l’Isis aveva compiuto stragi nelel chiese di Alessandria e di Tanta, 47 morti.
Ahmed Al Tayyeb, grande imam della moschea di al-Azhar, ha affermato sulla Tv Nile che “quanto accaduto è inaccettabile, ha lo scopo di destabilizzare l’Egitto” e che “Ogni musulmano e ogni cristiano lo condanna”.
È dalla caduta di Hosni Mubarak, nel 2011, che i cristiani d’Egitto (circa il 10 per cento della popolazione) si sentono minacciati, un’emergenza a cui, nonostante l’impegno contro il terrorismo, il presidente Abdel Fatah al-Sisi ancora non ha saputo rispondere.
Con una nota Alessandro Monteduro, direttore di Acs Italia (Aiuto alla Chiesa che soffre), ha affermato che “L’attentato di oggi colpisce la comunità cristiana copta nell’esercizio della fede, esattamente come è accaduto prima di Natale e prima di Pasqua. Allora si sono attaccate le chiese nel corso delle celebrazioni della Santa Messa, oggi si attaccano dei fedeli impegnati in un pellegrinaggio.
I cristiani in Egitto, tuttavia, sono bersaglio dell’estremismo islamico non solo per odio verso una Fede diversa da quella dei terroristi, ma anche perché accusati di aver contribuito in modo decisivo alla destituzione nel 2012 del presidente Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, e anche come conseguenza delle scosse telluriche di assestamento che la disarticolazione bellica dell’Isis in Iraq e Siria sta provocando in Medio Oriente. I terroristi stanno scappando, da Mosul in primis, trovando per ora rifugio e solidarietà tra i jihadisti locali, nel nord del Sinai e in alcune zone della Siria stessa.
In Egitto la repressione dell’estremismo e del terrorismo sta dimostrando di funzionare, se consideriamo che il 22 maggio sono stati rinviati a giudizio 48 affiliati ad Isis accusati di aver collaborato nelle stragi nelle chiese. E’ ovvio che non è sufficiente. Dalla leadership del presidente al-Sisi tutti attendiamo passi ancora più decisi per prevenire l’orrore e proteggere i suoi compatrioti cristiani. I quali chiedono a noi, occidente tutto, di sostenere la presidenza Al-Sisi, dalla quale comunque hanno ricevuto concreti segnali di vicinanza. E ci chiedono di non restare vittime di un processo di assuefazione. Manchester o Stoccolma e Minya distano da Roma più o meno allo stesso modo.
I pellegrini oggi trucidati, per usare le parole pronunciate da Papa Francesco a proposito dei copti sgozzati sulla spiaggia della Libia, non erano probabilmente dottori in teologia, ma certamente dottori in coerenza cristiana”.