ESCLUSIVA. L’Hotspot-Lager Ue di Samos, dove i migranti pagano le falle delle politiche di Bruxelles

di Vanessa Tomassini

“La situazione è devastante. In questo centro, che dovrebbe essere di prima accoglienza, i migranti stazionano per mesi. La maggior parte provengono dalla Siria, Iraq e Afghanistan. Samos è la tomba dei diritti fondamentali dell’uomo. Non mi riferisco alle lamentele dei migranti per un cibo scadente, ma parlo di istruzione, di acqua, di tende e coperte per il freddo. Siamo su una collina e la situazione dell’hotspot di Samos è di gran lunga peggiore di Lesbo, denunciato dai media, dove l’inverno scorso sono morte tre persone per la mancanza di un adeguato riparo”. Si emoziona Nicolò Govoni, un operatore dell’associazione “Boat Refugee Foundation”, che presta servizio nel centro-Lager che “accoglie quasi 2.500 migranti, mentre sarebbe per 700 persone”, ci spiega.
Nicolò ha lavorato e studiato giornalismo in India negli ultimi 4 anni, sponsorizzando la costruzione di un dormitorio e un muro di protezione in un orfanotrofio, consentendo a 20 bambini di andare a scuola e 6 ragazzi all’università. Ha anche lavorato per la BBC Knowlwdge in India, South China Morning Post a Hong Kong e per il Metropolis Japan a Tokyo. È anche autore di due volumi sulla degenerazione del volontariato in India.
Stando al report settimanale di Unhcr dal 14 al 20 settembre la popolazione del centro di Samos è di 2.407 soggetti, di questi il 45% sono uomini, il 20% donne e il 35% sono bambini. Esattamente i bambini non accompagnati sono 108. I migranti “ospitati” provengono per il 47% dalla Siria, il 20% dall’Iraq, il 6% dall’Afghanistan, il 7% dall’Algeria, il 3% dall’Iran, mentre il 17% provengono da altri Paesi. Il centro di prima accoglienza, hotspot in gergo politico Ue, è stato costruito su una stretta striscia di terra lunga circa 400 metri e larga 40. L’aumento degli sbarchi e la lentezza delle autorità greche nello svolgimento delle attività di prima identificazione per i richiedenti asilo, hanno portato un sovraffollamento della struttura, che rende le condizioni di vita al quanto disumane.
I bambini sostano qui per mesi, l’istruzione non è obbligatoria, ma nei container dove svolgiamo attività educative non c’è posto per tutti”. Ci spiega Nicolò, poi aggiunge: “nel campo c’è un solo rubinetto di acqua corrente per 2.500 persone, accessibile 24h/24, gli altri chiudono alle 12.00. A qualsiasi ora del giorno e della notte c’è sempre fila per avere un po’ di acqua. Senza parlare delle docce. Io stesso devo darmi il turno coi colleghi per prendere l’acqua per preparare il té. All’arrivo nell’hotspot ai migranti viene dato dal personale sanitario greco dei passaporti verdi, dove vengono annotate le vaccinazioni. Questi passaporti spesso terminano e molti ne sono sprovvisti. Queste persone sono sottoposte a violazioni continue”.
Nel suo racconto il giovane Nicolò si interrompe, è palesemente emozionato. Sul suo profilo Facebook ci sono video delle sue attività coi bambini negli orfanatrofi in India, dove trapela la sia passione di lavorare con i più piccoli. Sono loro, i più vulnerabili a fare le spese di questo sovraffollamento. “Non ci sono gli spazi adatti e la situazione è psicologicamente provante”. Da alcuni fotogrammi, fornitici dai migranti, come il vudeo pubblicato sotto, si vedono degli adulti entrare in piena notte nella zona riservata ai minori non accompagnati per sfogare la loro rabbia repressa contro porte e finestre. “A volte le continue privazioni – ci dice il giovane operatore – portano gli adulti alla perdita di lucidità e sfogano la loro rabbia con donne e bambini. La situazione è una delle peggiori che io abbia mai visto. L’altro giorno ho visto un poliziotto brutalizzare un minore di 17 anni”.
L’organizzazione per i diritti umani, Human Rights Watch, ha visitato più volte il campo negli anni passati e ha documentato resti di sangue sulle pareti dei container, migranti con lesioni gravi e una completa assenza di gestione e sicurezza. Il ricercatore del gruppo, Eva Cosse, che aveva visitato tutti gli altri hotspot dell’Ue, aveva dichiarato che quello di Samos era il peggiore, denunciando diversi episodi di violenza, come quando un gruppo di algerini ha attaccato alcuni pakistani con barre di ferro, arrivando a dare fuoco ad uno dei container.
Ioannis Koukouvitakis, vice direttore dell’impianto, aveva dichiarato a EUobserver nel luglio del 2016 che “Ci sono più di 1.100 persone che vivono nel campo, formalmente conosciuto come Centro Ricezione e Identificazione. La sua capacità è di 700”, ammettendo che fosse sovraffollato. Beh oggi ce ne sono il doppio. I bambini giocano tra i container arrugginiti, con qualsiasi cosa riescono ad afferrare scatole bottiglie, palloncini e nella ressa capita che una bambina si ustioni con del the bollente.
Ma la situazione che preoccupa di più gli operatori è l’arrivo delle piogge e della stagione invernale. L’isola greca di Samos si trova a soli 1,5 chilometri dalla Turchia e le raffiche di vento sulla collina in cui sorgono i container dei disperati, rischiano di sollevare le tende dei rifugiati, lasciandoli senza un riparo adeguato. “Le tende, non sono adatte all’inverno, i container non bastano per tutti. La notte ora inizia a fare freddo e non ci sono abbastanza coperte. Nessuno sa perché”, confessa Nicolò.
Il 18 Marzo 2016, è stata adottato un patto tra Ue e Turchia per migliorare la gestione dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo Orientale. Nella sesta relazione della Commissione europea del 13 giugno 2017, tuttavia l’Ue aveva espresso già diverse preoccupazioni. “Il numero di attraversamenti irregolari – si legge nella relazione – è rimasto basso attestandosi in media a 52 al giorno rispetto ai dati della quinta relazione. Nonostante i recenti tragici incidenti, il numero di vite umane perse nel Mar Egeo si è considerevolmente ridotto. La situazione permane tuttavia problematica, in particolare perché il numero degli arrivi continua ad essere superiore a quello delle persone rinviate dalle isole greche in Turchia, mettendo pressione sulle strutture dei punti di crisi (hotspot) delle isole”.
Moltissimi migranti – ci spiega Nicolò – sono terrorizzati dal dover essere mandati in Turchia”. L’Europa infatti aveva spinto per “un ritmo più sostenuto dei reinsediamenti dei rifugiati siriani dalla Turchia, stanziando per il periodo 2016-2017, 2,9 miliardi di euro e firmando contratti per 47 progetti per un importo totale di 1,572 miliardi di euro. Stando alla sesta relazione, gli esborsi hanno raggiunto 811 milioni di euro. “Nel loro incontro del 25 maggio 2017 i presidenti Juncker e Tusk e il presidente Erdoğan hanno sottolineato l’importanza fondamentale della dichiarazione UE-Turchia per la gestione congiunta del problema migratorio e la loro comune determinazione ad operare per una sua positiva e continua attuazione” aveva dichiarato la Commissione.
Queste politiche, vedendo le immagini di Samos e ascoltando le parole di Nicolò, non sembrano aver dato i risultati sperati. È assolutamente necessario che l’Ue verifichi in tempi rapidi e con frequenza, la gestione delle strutture dei punti di crisi, facendo pressioni sulle autorità greche per il miglioramento e la velocizzazione delle pratiche di asilo e riconoscimento e affinché la collaborazione tra le autorità, Unhcr e le altre organizzazioni umanitarie, migliori. Tutti gli Stati membri, secondo le politiche di reinsediamento e distribuzione dei migranti dovrebbero farsi carico della loro parte di richiedenti asilo, affinché la popolazione dell’hotspost di Samos torni in normalità. Tanto è stato già fatto, ma molto è ancora possibile fare. Unicef ha di recente denunciato quanto accade nel Mediterraneo Centrale, ma la situazione nel versante orientale non è da meno. Tutti ci siamo indignati, nel vedere le immagini dei centri lagher in Libia, senza vedere ciò che accede in casa nostra. Medici senza frontiere (MSF) aveva già denunciato in questo repor l’impatto delle politiche europee sulla vita e la salute di migliaia di migranti, in particolare in Grecia e in Serbia. E’ nostra responsabilità gestire questa crisi in modo rapido ed efficace, prima che il freddo mieta altre vittime come a Lesbo. “Presentare la situazione attuale come una crisi umanitaria dimostra solo miopia. La vera crisi in Europa risiede nella mancanza di volontà politica, che deriva dalla carenza di una visione comune su come la migrazione e la mobilità delle persone siano parte del presente e del futuro” erano state queste le parole amare di François Crépeau, inviato speciale per i diritti umani dei migranti delle Nazioni Unite, nel maggio del 2016. La Grecia e l’Ue devono dimostrare che si fosse sbagliato. In fondo quando si parla di vite umane, non è mai troppo tardi.