ESCLUSIVA. SOS Sabhah Medical Center, l’unica speranza nell’inferno del sud della Libia

di Vanessa Tomassini

“Ci troviamo nell’area del Fazzan, in Libia. Secondo il censimento del 2006, la popolazione è di 450mila abitanti. La regione dipende solamente da questo centro per i servizi medici. Il Sabhah Medical Center è l’unico luogo nel sud della Libia a disporre di una sala di cura e di una sala operatoria e anche un ricovero per i pazienti, gestito dal governo. La situazione sanitaria nel sud della Libia solitamente era coordinata da molte cliniche o ospedali rurali, distribuiti nell’area del Fezzan in sei città: partendo da Alchuirv alle zone di al-Qatrun, ai villaggi di Jufrah. In questo villaggio-ospedale lo staff medico era fornito solitamente dallo Stato della Corea del Nord, ma dopo la crisi della Libia iniziata nel 2014 e la guerra civile a Tripoli tra i governi divisi e per via dell’amministrazione di un governo debole e la successiva divisione politica del ministero della Salute tra i vari governi, è diventata una situazione molto brutta. Il 92% delle strutture ospedaliere ha chiuso per la mancanza di medici, la Corea del Nord ha ritirato i suoi cittadini, i medici, i centri sanitari e gli ospedali sono sprovvisti di personale libico. Il Sabhah Medical Center è diventato l’unico centro del sud, ha 600 posti letto. Attualmente si basa su una capacità di prestare assistenza sanitaria tra 10% e il 45% della popolazione e degli sfollati, compresi i migranti non giuridici che arrivano da diversi Paesi africani. Stiamo cercando di dare a tutti loro trattamenti sanitari, ma questo centro sta attraversando, per diverse ragioni, grandi sofferenze”.
A parlare è Osama al-Wafi, giornalista e portavoce del Sabah Medical Center, l’unico centro medico operativo nel caos del sud libico, dove anche i funzionari delle Nazioni Unite faticano ad arrivare, una struttura immensa. “Non ci sono abbastanza operatori sanitari preparati, non riusciamo a fornire servizi medici adeguati e siamo pieni di corpi dei migranti non identificati”. È straziante, sono immagini forti, giovani e adulti stesi sulle barelle, feriti da armi da fuoco. Bambini e uomini con gambe amputate, o che hanno perso irrimediabilmente l’utilizzo di uno dei due arti.
Ci sono molte cose di cui i pazienti necessitano, in particolare i migranti, che entrano in Libia e dispongono solamente di questo centro medico nell’area. La maggior parte dei casi riportano fratture alle ossa o necessitano di operazioni chirurgiche a causa di incidenti stradali avvenuti durante il viaggio, o per via di violenze subite“”. Prosegue Osama, portavoce della struttura. ““Gli immigrati sono ammessi al centro, ma è necessario l’intervento del centro del governo di Atdamh; tuttavia la prestazione di servizi medici da parte dei governi copre solamente fino al 10% delle prestazioni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Comitato Internazionale della Croce Rossa forniscono gran parte dei materiali e delle forniture mediche affinché il centro operi in modo accettabile. Ma servono medici, che scarseggiano. Serve un neurologo, chi arriva con un’infezione alla testa inevitabilmente muore”. Il collega ci spiega che “gli immigrati sono in crescita, alcuni di loro sono andati a Zuwara e Tripoli, ma molti sono ancora qui. Sebah è il secondo mercato per gli immigrati che vengono contrabbandati dai libici delle zone di transito e venduti dagli africani come schiavi per la prostituzione, nel commercio sessuale e nel traffico di esseri umani”.
Osama, ci mostra le immagini dei corpi all’interno di una cella frigorifera dell’ospedale, mentre gli domandiamo di cosa hanno più bisogno. Lui è abituato a vedere queste immagini e in maniera pacata ci risponde: “chiediamo aiuto per i trattamenti per il primo soccorso. Supporto per le operazioni e la conservazione dei loro corpi. Che restano per mesi, fino a sette o otto mesi, fino a quando non si decompongono all’interno dei frigoriferi, che accumulano fino a 60 o più corpi, tutti di migranti. Il nostro frigorifero è molto vecchio, avrebbe dovuto smettere di funzionare nel 2008, ma ancora va. L’elettricità tuttavia non è stabile e provoca interruzioni per tutte le apparecchiature, comprese le celle frigorifere”.
Riuscite a immaginare cosa significa nel caldo libico che negli scorsi mesi ha superato i 40 gradi, l’interruzione di corrente per ore o per giorni, per una cella frigorifera di un obitorio che contiene oltre 60 cadaveri? I morti spesso non vengono identificati, per via dell’assenza di un medico legale.
Il generale Khalifa Haftar, nella sua recente visita a Roma, ha dichiarato di essere pronto ad aiutare per fermare i flussi migratori. Il nostro Osama ci spiega cosa ne pensa. “Sono un giornalista esperto, so quello che succede in questa zona e vivo qui da sempre. Credo che il generale sia l’unico a poter imporre il controllo perché sa bene come leggere la situazione libica. Tuttavia, ogni regione ha la sua realtà, la sua spina dorsale o la sua valvola di sicurezza. La costruzione o il crollo della Libia dipende dal suo carattere regionale e tribale. Sono proprio le tribù a garantire il controllo, perché tutto ruota intorno ad esse. Uno degli svantaggi della Libia sta proprio nel fatto che ogni regione ha le sue caratteristiche, che si differenziano da un’area all’altra. Differenza, che non è vista nè da Haftar nè da altri, lo stesso Gheddafi continuava a governare, continuando a lavorare su questo. Le specificità del sud libico non sono le stesse di quelle orientali e occidentali della Libia. Finora il generale non ha imposto il suo controllo sulle più grandi città del sud, che è solo di facciata, ma non ha un controllo effettivo del territorio. L’immigrazione non si fermerà e diventerà imprevedibile se non viene bloccato un certo numero di veicoli dei contrabbandieri”. Osama ci spiega che forse l’immigrazione è rallentata. “Gli immigrati – ci dice – per entrare in Libia dal Ciad, per esempio, attraversano il confine sotto il comando delle automobili della tribù dei Tabu, passano per Sabhah per essere poi consegnati ai leader africani, ai quali si vendono per coprire i costi del trasporto. Vengono sfruttati sessualmente, si prostituiscono per essere trasferiti tramite la Sabhah Barak, che è sotto il controllo e l’influenza della tribù al-Mujabra beduina araba. Tutto è sotto il controllo e l’influenza della stessa tribù, dei i loro figli, compresele aree del percorso per raggiungere Tripoli, Zuwara e Zawiah. Haftar può far diminuire i migranti facendo in modo che le tribù del contrabbando non utilizzino le vie lungo le zone di sua influenza, anche se questo non impedisce che girino le armi”.
La situazione dei libici nella zona meridionale è dieci volte peggiore rispetto a quella nell’est e nell’ovest della Libia. “Paghiamo i loro conflitti e il ritorno dello Stato è facile perché viene risolto da garanzie sociali, ma queste garanzie richiedono azioni legislative per assicurare i diritti di coloro che sono colpiti. Speriamo che l’attenzione dei media a livello internazionale, soprattutto europeo, si sposti verso il sud libico, perché la Libia non è soltanto est ed ovest. Siamo i primi a pagare il prezzo di quello che sta succedendo in Libia quando c’è un conflitto. Siamo i primi a subire l’interruzione dell’elettricità e la carenza di trasporti. Abbiamo vissuto più di un anno senza un aeroporto. Siamo il sud, un luogo dove non solo gli immigrati hanno bisogno di assistenza sanitaria. Invitiamo il Vaticano, i governi europei e le loro organizzazioni ad aiutarci, chiediamo che qualcuno ci ascolti”.
Se è vero che anche dalla pietra può nascere la vita, in questa zona, che sembra dimenticata da tutti, anche da Dio, nasce una speranza di pace. Un gruppo di giovani, di ogni estrazione sociale e provenienti da ogni famiglia e da qualsiasi tribù si riunisce a Sabhah – come è possibile vedere nella foto sottostante – per dialogare e cercare uniti delle risposte, delle soluzioni per la loro Nazione. Facciamo in modo che l’appello di Osama non passi sotto silenzio, servono aiuti concreti perché la stabilità della Libia passa anche da qui, dal sud.