Etiopia. Abiy festeggia il primo mese al governo

di Valentino De Bernardis

Lo scorso due maggio si è festeggiato il primo mese dell’insediamento ufficiale di Abiy Ahmed Ali alla guida dell’esecutivo etiope. Trenta giorni intensi, carichi di importanti avvenimenti passati erroneamente in secondo piano. Importanti aperture politiche, economiche e sociali che sono andate oltre le più rosee aspettative degli osservatori internazionali. I silenti successi raccolti da Abiy Ahmed rappresentano allo stesso tempo quelli dell’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF), la coalizione al potere ininterrottamente dal 1991. Segnato da nette divisioni etnico e religiose al suo interno, l’EPRDF sta dimostrando una forte capacità rigenerativa, allontanando il rischio di un prematuro collasso. Le discussioni interne seguite alle dimissioni a metà febbraio di Hailemariam Desalegn, seguite alla scelta di una parzialmente nuova classe dirigente, si stanno di fatto rivelando giuste.
Ad oggi in politica interna le pietre miliari dell’azione politica di Abiy sono rappresentate in ordine cronologico dalla visita ufficiale ad Ambo e da un coraggioso rimpasto di governo.
L’omaggio recato alla città dell’Oromia ha avuto un altissimo significato simbolico. L’Università di Ambo rappresenta difatti l’epicentro degli scontri tra la popolazione e il governo di Addis Abeba degli ultimi due anni, che poi si è allargata come una chiazza d’olio per tutta l’Etiopia. Un passo verso la conciliazione, accompagnato dall’incontro dei parenti delle vittime degli scontri, come a dare un implicito onore al merito postumo ai caduti. Una valenza doppia se si considera come la zona di West Shewa, in cui si trova appunto Ambo, sia una roccaforte degli antagonisti politici dell’EPRDF, luogo di nascita di Merera Gudina, leader dell’opposizione e presidente Oromo Federalist Congress (OFC), in carcere fino al gennaio 2018 con l’accusa di terrorismo e sovversione.
Il secondo passaggio chiave in politica interna è stato il rimpasto di governo. Un difficile gioco ad incastro in cui pur mantenendo intatta la struttura base messa in piedi dal predecessore Hailemariam Desalegn con la riconferma dei due ministri pesanti come Workneh Gebeyehu agli Esteri e Abraham Tekeste alle Finanze, e l’assegnazione della Difesa a Motuma Mekassa, dando un segnale di discontinuità in un dicastero simbolo della repressione armata contro la popolazione inerme.
Di uguale importanza e significato anche i passi intrapresi in politica estera. Le aperture di credito in favore del storico nemico eritreo nel giorno dell’insediamento, ha correttamente lasciato il posto alla diplomazia sotterranea. Una scommessa quasi impossibile da vincere, ma che in caso di esito positivo aprirebbe praterie di sviluppo per entrambi i paesi.
Nell’attesa di chiudere la questione con l’Eritrea, il primo ministro Abiy ha intrapreso due importanti visite all’estero che lo hanno portato prima a Gibuti e poi in Sudan. Assicurarsi buoni rapporti con i paesi confinanti è difatti un passo obbligatorio per dare consistenza alle aspirazioni di leadership continentale. In una versione africana della dottrina Monroe, il corno d’Africa rappresenta per l’Etiopia quel giardino di casa da curare con attenzione, per difendere i propri interessi e per evitare possano cadere sotto sfere d’influenza di paesi concorrenti. La capacità diplomatica di Abiy si è tradotta con la firma di accordi commerciali, infrastrutturali, cooperazione politica e, cosa più importate, dell’entrata del governo etiope nella gestione del Porto Gibuti e di Porto Sudan
Un successo senza precedenti in appena trenta giorni, a cui ne seguiranno come da tradizione etiope. Sembrano lontane ere geologiche le analisi allarmistiche di chi riteneva il governo di Addis Abeba sull’orlo di una implosione senza precedenti, dimostrando scarsa memoria della storia del paese e della capacità diplomatica (sia internamente che esternamente) della sua popolazione.

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