Etiopia-Eritrea quindici anni dopo

di Valentino De Bernardis

Il 13 aprile è ricorso il quindicesimo anniversario degli accordi di confine tra Etiopia e Eritrea, come sancito dalla Eritrea-Ethiopia Boundary Commission (EEBC). Una ricorrenza importante, figlia dell’implementazione dei difficili accordi di pace del 2000, sotto la regia del presidente algerino Abdul Aziz Bouteflika, e l’egida di Stati Uniti, Unione Europea e Unione Africana. Una pace-non pace, che sebbene abbia avuto il merito di far tacere le armi, ha solamente cristallizzato le posizioni sul campo, senza riuscire a far giungere i contendenti ad una soluzioni condivisa e duratura. Uno dei molteplici limbo diplomatici tra due paesi, necessari nel sottile gioco di equilibri nella regione del Corno, già di per sé molto instabile (vedi Somalia, Sudan e Sud Sudan)
A quindici anni di distanza dagli accordi etiopi-eritrei è ormai sempre più chiaro come il basso grado di conflittualità di confine tra i due paesi sia necessario ai due governi sia per giustificare il pugno di ferro con cui guidano le istituzioni, che la continua militarizzazioni di alcune parti del territorio, che spegnere sul nascere velleità indipendentiste nelle regioni più periferiche. Guardare fuori, individuare un nemico esterno da combattere tutti uniti, come mezzo per assicurare in una qualche maniera una stabilità politica interna, senza dimenticare come la conflittualità di confine rappresenti altresì un importante mezzo di distrazione di massa verso altri problemi ben più concreti, come una democratizzazione anche acerba, la quasi totale assenza di spazi politici lasciati all’opposizione, e una crescita economica in leggera flessione. Tesi indirettamente avvallata dall’attenzione di Addis Abeba e Asmara a non far diventare caldo il conflitto in essere. Nonostante sporadici scontri tra i due eserciti (ultimo in ordine cronologico nel giugno 2016), l’esplosione di un conflitto caldo rischierebbe di indebolire le attuali leadership al potere, e prestare il fianco alle opposizioni sotterranee e spesso in esilio, di tentare un colpo di mano e prendere il potere, oppure giustificare una ingerenza della comunità internazionale.
L’anniversario ha rappresentato occasione per l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Federica Mogherini, di esprimere il pieno coinvolgimento delle istituzioni europee ad impegnarsi nelle questioni del Corno d’Africa. Un obbligo assunto unilateralmente affinché i rapporti tra Addis Abeba e Asmara possano continuare il loro percorso di normalizzazione. Una presa di posizione senz’altro improntate nel totale silenzio di altri organismi internazionali, ma che non abbiamo paura di dire, certamente fine a se stessa. Come accade sempre più di frequente negli ultimi anni difatti, le iniziative diplomatiche di Bruxelles perdono di mordente, a testimoniarne la debolezza in politica estera (figlia delle divisioni interne), e la sempre più flebile moral suasion europea, messa all’angolo da altre entità statuali (vedi Cina, India, Stati Uniti), che hanno molto di più da offrire sul piano economico, sociale e di sicurezza.
Nel ricordare questo anniversario, l’unica cosa che sembra certa è il marcato senso dell’ironia della Storia. I buoni propositi europei difatti vengono espressi tramite Federica Mogherini, figlia di quella nazione che a fine diciannovesimo secolo si è adoperata con ogni mezzo alla ricerca di un indipendentismo economico, che si sarebbe tradotto nella costituzione di una colonia nel continente africano. L’acquisizione di Assab, Massaua e poi la creazione dell’Eritrea ha condotto alla definizioni di confini fino ad allora inesistenti, e non completamente riconosciuti dall’allora Impero Etiope, quegli stessi confini per i quali oggi l’Europa a voce italiana si impegna in prima persona per trovarne una soluzione condivisa.

(Mappa Treccani).

@debernardisv
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