Etiopia. Ottanta anni dall’attentato Graziani e dalla repressione italiana

di Valentino De Bernardis

L’importanza della memoria storica nell’analisi geopolitica ha un peso specifico che troppo spesso viene sottovalutato. Ricordare i fatti di ieri, specialmente quelli di cui si vuole parlare meno volentieri per un misto di vergogna-orgoglio nazionale, aiuta a capire il perché di alcune alleanze tra paesi, o decise prese di posizione, o inspiegabili silenzi, o.
In questa categoria rientra certamente l’anniversario dell’attentato contro il generale Rodolfo Graziani, quando il Corno d’Africa era chiamato Africa Orientale Italiana, la cui dura repressione non ha mai trovato colpevoli.
Per ricordare in poche righe gli eventi che si susseguirono dal 19 al 21 febbraio 1937, ripropongo in seguito uno stralcio tratto dal mio De Bernardis Valentino, L’ultima colonia italiana in Africa, Bonanno Editore, 2007.

“Le dure repressioni fasciste conobbero un notevole salto di qualità con l’attentato a Graziani del 19 febbraio 1937 (1), ad opera di due eritrei, Abraham Debotch e Mogus Asghedom (2). Con l’autorizzazione di Mussolini (3), tra il 19 e il 21 febbraio, ebbe inizio una rappresaglia nazista antelitteram. Addis Abeba fu vittima di deportazioni ed eccidi senza pietà (4), il campo di concentramento di Danane si riempì subito, molti altri vennero deportati in Italia. Oltre all’eccidio già citato di Debrà Libanòs, vanno ricordate le esecuzioni sommarie (5) della classe dirigente etiope depositaria dell’intellighenzia e del patriottismo abissino. Tra le vittime anche migliaia di indovini, cantastorie, veggenti, eremiti, stregone, temibile veicolo di notizie non controllate dagli italiani, utili per la formazione di una coscienza nazionale etiopica. A loro vanno sommati i cadetti dell’accademia militare Olettà, crogiolo della nuova intellighenzia etiope (6).
Vi fu anche un rinfocolarsi dell’antico squadrismo fascista, con squadracce che andarono in giro per la capitale picchiando fino alla morte tutti gli indigeni che trovavano sulla loro strada, per poi passare alla devastazione di interi quartieri come “accadde ai vasti agglomerati di tucul lungo i torrenti Ghenfilè e Ghilifalèn, che attraversavano la città da nord a sud” (7). Si andò a caccia dell’etiope strada per strada, porta a porta: donne, bambini e preti non furono risparmiati; la chiesa di San Giorgio, patrono dell’Impero Etiopico, fu data alle fiamme e fatta saltare in aria (8), rappresentando simbolicamente la distruzione dell’Etiopia. Il segretario del partito fascista di Addis Abeba, Guido Cortese, diede ordine agli italiani di “far rivivere una nuova memorabile notte di San Bartolomeo” (9) (solamente che sarebbe durata 3 di notti!).
Dopo tre giorni di bestialità, dallo stesso Graziani giunse l’ordine di porre termine alla
rappresaglia, l’orgia di sangue momentaneamente finì. Addis Abeba contava montagne di cadaveri che dovevano essere portati via con le ruspe. La ricerca degli attentatori e dei possibili fiancheggiatori continuò per ancora molto tempo, come ricorda Alberto Sbacchi:

“Il numero di esecuzioni direttamente connesse con l’attentato a Graziani salì alla fine del 1937 a 5.469. Circa 350 capi furono inviati in esilio in Italia, mentre da 1.500 a 6.500 etiopici furono avviati alle colonie penali (leggi campi di concentramento) di Danane, in Somalia, e Nocra in Eritrea, dalle quali molti non dovevano tornare” (10).
Tutto questo accadeva con il complice silenzio, se non silenzio assenso, delle emocratiche nazioni europee.”

@debernardisv

Note.
1 – Venerdì 19 febbraio 1937 il viceré aveva invitato al palazzo del governatore, per celebrare la nascita del principe di Napoli, la nobiltà etiopica ed alcuni poveri a cui fare opera di carità. Verso mezzogiorno i due partigiani eritrei lanciarono sette bombe a mano contro il viceré, una lo ferì con più di 300 schegge. Cfr. Sbacchi Alberto, Il colonialismo italiano in Etiopia 1936-1940, Milano, Mursia, 1980, p. 851; Cfr. Rochat Giorgio, L’attentato a Graziani e la repressione italiana in Etiopia. 1936-37, in “Italia Contemporanea”, Rassegna dell’Istituto nazionale per la Storia del Movimento di liberazione, gennaio-marzo 1975, n. 118, pp. 3-38.
2 – Graziani era convinto della regia del console britannico, Patrick Roberts, dietro al suo attentato. Sbacchi Alberto, op. cit., p. 855.
3 – L’odio di Mussolini si versò con particolare astio nei confronti degli amhara, da sempre indomabili, dei quali questa volta sarebbe dovuta essere garantito l’annientamento.
4 – “Coloro [etiopi] che non furono arrestati dai carabinieri e venivano trovati nelle loro case o per le strade venivano uccisi […]. Ho visto ragazzi uscire dalle case in fiamme, ma gli italiani li ricacciavano dentro, nel fuoco”. Cfr. Pankhurst Richard, Come il popolo etiopico resistette all’occupazione e alla repressione da parte dell’Italia fascista, in Del Boca Angelo, Le guerre coloniali del fascismo, Roma, Laterza, 1991, p. 264.
5 – Si contarono quasi 2.000 fucilazioni. Cfr. Rochat Giorgio, Le guerre coloniali dell’Italia fascista, in Del Boca Angelo, Le guerre coloniali op. cit., 1991, p. 189.
6 – Del Boca Angelo, Hailè Sellassiè, Fabbri Editori, Milano, 1983, p. 36. Alla lista dei perseguitati vanno aggiunti i rappresentati dei Giovani Etiopi movimento politico di rinnovamento accusato dagli italiani di alimentare l’odio xenofobo verso gli italiani, fin da prima dello scoppio delle ostilità. Guidati, come tutti i capi abissini da “uno sconfinato orgoglio e una folle certezza di essere pervenuti al più alto grado della civiltà”. Magnino Leo, La missione dell’Italia nell’Africa Orientale, in “Meridiani”, numero 1, maggio 1935-XIII, anno I, Bologna, pp. 4-5.
7 – Cfr. Del Boca Angelo, Le guerre coloniali, op. cit., p. 245.
8 – Sbacchi Alberto, op. cit., p. 852.
9 – Cfr. Ibidem, pp. 852-53.
10 – Cfr. Ibidem, p. 854.