Etiopia. Un oromo primo ministro

di Valentino De Bernardis

Abiy Ahmed Ali, nuovo leader del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (EPRDF), ha giurato come primo ministro ad Addis Abeba. E’ cosi terminato un mese e mezzo di stallo politico, caratterizzato da un acceso dibattito interno ed esterno alla coalizione al potere, e dall’adozione dell’ennesimo stato di emergenza, seguito le dimissioni di Haile Mariam Desalegn.
Seguendo l’indice della storia recente del paese, era chiaro sin dai primi giorni di congresso dell’EPRDF (20 marzo) che la scelta sarebbe dovuta ricadere su un rappresentante dell’Organizzazione Democratica del Popolo Oromo (OPDO) o del Movimento Democratico Nazionale Amhara (ANDM), sia per dare una maggiore voce ai due gruppi etnici da essi rappresentati (Oromo e Amhara), che per garantire una turnazione alla testa delle istituzioni da parte di tutti i partiti della coalizioni EPRDF.
La nomina di Abiy (OPDO) è stata facilitata dal passo indietro fatto da Demeke Mekonnen (ANDM), vice primo ministro uscente, che data la carica ricoperta, per consuetudine, era il candidato naturale alla successione di Desalegn. Una scelta apprezzata quella di Meconnen (dato come vice primo ministro anche nel prossimo gabinetto), motivata con la volontà di portare facce nuovo all’interno dell’arco istituzionale etiope, e garantire una rappresentanza di primo piano al gruppo etnico più numeroso, oltre che più attivo nelle proteste negli ultimi due anni.
Si è trattata di una vera svolta? Ad una prima analisi potrebbe sembrare di si, per la giovane età di Abiy, il gruppo etnico di provenienza, la formazione universitaria e militare, e sopratutto per la confessione religiosa. Ad una analisi di visione, invece la svolta appare ancora lontana. I punti di rottura incarnati da Abiy rischiano di essere contenitori vuoti, se non saranno seguiti da una solida agenda programmatica per rispondere alle istanze di maggiore partecipazione di quella fascia di popolazione tenuta ai margini.
Novità rintracciate solo in parte nel discorso di giuramento di Abiy in parlamento. L’accenno ad una maggiore partecipazione delle opposizioni alla vita democratica dell’Etiopia è stato subito mitigato ad un sibillino riferimento al mantenimento dello stato di diritto. L’EPRDF molto difficilmente sarà disponibile a concedere sempre maggiori spazi alle opposizioni, men che meno adesso che il paese attraversa un forte sviluppo economico e si iniziano ad incassare importanti dividendi. Senza dimenticare come la prima linea dell’EPRDF, in tutte e quattro le anime della coalizione, sia rappresentata da personaggi che hanno combattuto sul fronte la guerra civile contro il DERG, rivendicando di fatto una doppia legittimazione alla gestione monolitica del partito.
Qui si collega il secondo punto per cui, la nomina di Abiy rischierebbe di non rappresentare una svolta. Sebbene egli di fatti sia di etnia Oromo, rimane pur sempre una espressione dell’OPDO, un partito in cui molti Oromo non si sentono rappresentanti.
A futura memoria va ricordato come nel novembre 2016, per calmare l’ondata di proteste, si era provveduto senza successo ad un corposo rimpasto di governo, in cui agli Oromo erano stati assegnati due dicasteri pesanti, quali gli esteri (Workneh Gebeyehu) e le comunicazioni (Negeri Lencho).
Sara sufficiente adesso la nomina di Abiy alla carica di primo ministro per calmare i malumori della popolazione? Lo speriamo, ma non ci crediamo. Chiave sarà la formazione del prossimo esecutivo e la decisione se prolungare o meno lo stato di emergenza.

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