Europexit

di Augusto Manzanal Ciancaglini * –

parlamento euLa crisi europea ha generato due neologismi: Grexit e Brexit, che si riferiscono alla possibile partenza della Grecia e il Regno Unito dalla zona euro e dall’Unione Europea rispettivamente.
Piani di frattura a diversi livelli di magnitudine e di motivazione, oggi lontani anche nella capacità di realizzazione. La regina ha già indicato nel 2017 come l’anno del referendum britannico sulla permanenza o meno nell’Ue. Ma al di là dei limiti rischiosi che a David Cameron piace sperimentare, come nel caso della consultazione scozzese, l’uscita è una minaccia improbabile da raggiungere, perché complessa e coinvolgente più attori.
A prescindere dai pur evidenti obiettivi centrati, l’Unione Europea è rimasta in un limbo strutturale con diverse velocità economiche, non è uno stato né un’organizzazione internazionale, ma un’entità sovranazionale che detiene a malapena una sottile primazia amministrativa e una semi-potestà sulla politica monetaria di una parte dei suoi membri. Quello che si esprimeva come un’innovazione istituzionale, oggi sta diventando un mostro stagnante, che ha diminuito l’intensità della sua espansione asimmetrica e che soffre di un vigore centrifugo progressivo.
C’è stato un tempo nel quale nel Vecchio continente prevaleva la Realpolitik, cioè, il pragmatismo eseguito dalla diplomazia alla ricerca di un equilibrio dei poteri; poi nel Ventesimo secolo la preponderanza fu acquisita dalla Weltpolitik che, attraverso la corsa al riarmo, portò il continente alla Prima Guerra Mondiale.
Oggi sembra svilupparsi un’altra dottrina, che ha più a che fare con la distribuzione del potere tra Bruxelles e gli stati membri, in cui la certezza del beneficio dell’integrazione contraddice l’affermazione di una massima possibile conservazione di sovranità. L’attuale blocco di interessi potrebbe essere chiamato Tauziehenpolitik, che si tradurrebbe come una politica di tiro alla fune.
Nel contesto della globalizzazione, l’apatia generata da questa strategia è una garanzia di instabilità che i mercati puniscono con piccole dosi permanenti, in un circolo vizioso che impedisce di lasciare finalmente questa prolungata crisi.
La grande risposta alla chiamata del referendum britannico può venire nel mese di luglio 2017 con la forma dell’apertura dei trattati per rendere comune l’assicurazione contro la disoccupazione, insieme alla creazione di un’unione bancaria e fiscale e di un fondo monetario europeo. Dato il rischio di perdere ulteriore influenza globale, potrebbe essere l’ultima occasione per evitare che il termine più rappresentativo della realtà continentale sia quello della Europexit.
* Politologo