Ex Jugoslavia. Croce Rossa, ’12mila dispersi negli anni ’90, un terzo sono serbi’

di Notizie Geopolitiche – 

yugoslavia dissolvimentoA vent’anni dall’inizio delle violenze che hanno insanguinato la Penisola balcanica è ancora impressionante il numero di persone di cui non si ha più notizia; secondo i dati resi noti dal Comitato Internazionale della Croce Rossa sarebbero quasi 12 mila i dispersi in seguito ai conflitti che negli anni ’90 hanno interessato i paesi della ex Jugoslavia e, basandosi su queste valutazioni, oltre un terzo sarebbero di etnia serba.
Le stime della Croce Rossa riferiscono infatti che su un totale di 11.859 dispersi quelli serbi sarebbero tra i 3.500 e i 4.000, 1.938 di questi sarebbero scomparsi in territorio croato, 530 in Kosovo e dei rimanenti si sarebbe persa traccia in Bosnia-Erzegovina.
La popolazione di appartenente al gruppo serbo infatti era presente, anche in maniera consistente, al di fuori dei confini del proprio paese, costituendo comunità numerose in Croazia, nel territorio della Craina e della Slavonia, nella Bosnia nord-occidentale ed in alcune aree nella parte orientale del paese, oltre a costituire la maggioranza della popolazione nel Kosovo settentrionale.
Con lo smembramento della Federazione Jugoslavia e l’ascesa di governi nazionalisti, primi fra tutti quello serbo capeggiato da Slobodan Milosevic e quello croato guidato da Franjo Tudman, le rivalità interne tra le diverse etnie si sono acuite fino a sfociare prima in atti di discriminazione poi in episodi di violenza tramutandosi infine in tentativi, spesso riusciti, di pulizia etnica come quello avvenuto nell’entroterra croato, indirettamente avallato dal governo di Zagabria che non fece nulla per contrastarlo, ai danni del gruppo serbo, in soccorso del quale giunsero le forze di Belgrado che occuparono militarmente l’intera regione, proclamando la Repubblica Serba di Krajina e scacciando a loro volta la popolazione croata.
In Bosnia la situazione era inoltre aggravata dal fatto che il paese, soprattutto nella Bosnia centrale, era frammentato in un crogiolo di etnie: serba, croata e musulmana principalmente, presenti in maniera consistente anche all’interno delle singole città; questo non fu un problema almeno finché non prese piede su tutti i media la martellante propaganda nazionalista dei nuovi e carismatici leader, la cosa infatti contribuì in maniera non indifferente a generare il clima di odio ed intolleranza che portò negli anni seguenti ai lager, ai genocidi e alle numerose incursioni armate di gruppi paramilitari all’interno di città e villaggi.
La situazione si aggravò ulteriormente per la popolazione serba dopo che nel 1995 la Serbia perse la guerra e con essa il controllo di tutti i territori occupati durante il conflitto (Repubblica Serba di Krajina e Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina) a vantaggio di croati e musulmani; questi infatti, sapendo dell’amicizia delle Nazioni Unite e dell’impotenza di Belgrado, sfruttarono la loro posizione di forza compiendo numerose azioni di rappresaglia ai danni dei serbi, nonostante questi ultimi costituissero comunque la maggioranza della popolazione.
La più recente vicenda riguardante la guerra in Kosovo ha visto invece i guerriglieri albanesi dell’Uck commettere impunemente violenze di ogni tipo ai danni della minoranza serba, soccorsa in seguito dalle truppe inviate da Milosevic che risposero con veemenza a questi attacchi; dopo l’intervento aereo della Nato però le truppe regolari serbe vennero ricacciate indietro e la regione venne posta sotto il controllo della Kosovo Force (Kfor), contingente guidato dall’Alleanza Atlantica che occupò l’area ma che non fu in grado di contenere la violenza delle popolazione di etnia albanese, di religione islamica, che si rese protagonista di incendi di chiese e monasteri e di sortite contro i villaggi serbi, crimini che continuano ancora oggi e che, con l’effettiva indipendenza ottenuta da Pristina, sono diventati ancora più frequenti, il tutto sotto gli occhi della comunità internazionale che, rammaricandosi per questi 12 mila dispersi, continua a non voler far nulla per scongiurare altre vittime.