Usa. Fu Putin a ordinare l’hackeraggio delle mail dei democratici. Ma in cambio di cosa?

di Enrico Oliari –

Era esploso come una bomba nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali Usa lo scandalo dell’hackeraggio e della conseguente divulgazione di oltre 20mila email del partito democratico, cosa che aveva portato alla luce un’operazione del comitato centrale, che avrebbe dovuto essere neutrale, volta a screditare il candidato alle primarie Bernie Sanders a vantaggio dell’ex segretario di Stato Hillary Clinton.
Uno scandalo che indubbiamente ha inciso, nella somma dei tanti, sulla corsa alla Casa Bianca, e dietro al quale vi sarebbe stato un ordine diretto del presidente russo Vladimir Putin.
Lo sostiene il Washington Post, che ieri ha pubblicato nuovi dettagli ed informazioni reperiti da proprie fonti presso l’intelligence statunitense, indizi ma anche prove che indicano che il presidente Putin ha in qualche modo sostenuto l’elezione di Donald Trump ordinando di interferire nelle elezioni Usa con il contrasto alla figura di Hillary Clinton.
Alla base dell’iniziativa di Putin vi sarebbe stato non tanto la politica da cortina di ferro lungo il confine russo messa in piedi dagli Usa, bensì l’intromissione dell’ex segretario di Stato Usa nella politica interna russa, con l’appoggio dell’amministrazione Obama all’opposizione anti-Putin.
La cosa era già apparsa evidente in dicembre, quando tra gli ultimi atti di Barak Obama vi era stato il ricorso a misure in qualche modo punitive, come sanzioni contro 35 personalità imprenditoriali militari e imprenditoriali russe e chiusura di due compound russi sul territorio statunitense.
La domanda centrale che tutti si pongono è se l’attuale presidente Usa Donald Trump o qualcuno del suo staff fosse stato non solo al corrente della cosa, ma addirittura in contatto con Mosca proprio per favorire l’intervento degli hacker russi nella campagna elettorale. E’ il “Russiagate”, per il quale oggi è indagato lo stesso Trump, e per il quale stanno saltando teste e altri sono chiamati a dire la loro davanti alle commissioni senatoriali.
Michael Flynn, è stato consigliere per la Sicurezza nazionale per pochi giorni, poiché è risultato che aveva tenuto contatti con la Russia sia prima che dopo la campagna elettorale, forse promettendo all’ambasciatore russo a Washington Sergey I. Kislyak l’eliminazione delle sanzioni al suo paese. In cambio di cosa?
Il ministro della Giustizia Jeff Sessions si è dimesso dopo essere stato ascoltato dalla commissione alla quale ha negato sotto giuramento di avere avuto rapporti con i russi durante la campagna elettorale, mentre l’Fbi continua a dire di avere le prove di almeno tre incontri di lui con l’ambasciatore russo Kislyak.
Il genero di Trump, pure lui per poco tempo consigliere, Jared Kushner, dovrà comparire nuovamente davanti alla commissione per essere riascoltato, poiché è risultato avere rapporti sia con Flynn, sia con Serghei Gorkov, capo della banca russa Vneshecononmbank, vicina al Cremlino e nell’elenco degli obiettivi delle sanzioni.
C’è molto, ma non ancora abbastanza per arrivare al processo di impeachment, ed è certo che molti spingono in quella direzione.