Gambia. La scommessa di Barrow

di Valentino De Bernardis –

Le aspettative sul nuovo presidente sono alte, se non altissime, sia all’interno del paese che fuori. Ora si iniziano a raccogliere le quote più pesanti sul successo o fallimento, sull’attività politica del terzo presidente della repubblica del Gambia: Adama Barrow. In gioco la credibilità di quegli attori esterni a Banjul che non ha esitato ad impegnarsi direttamente (Ecowas) ed indirettamente (Stati Uniti, Unione Europea e Unione Africana) affinché fosse rispettato il risultato delle urne di dicembre, anche a costo di portare il Gambia sull’orlo di una guerra civile.
Un supporto esterno, quello ricevuto da Barrow, ancora necessario per evitare colpi di coda della passata dittatura Yahya Jammeh. Non a caso, il comandante delle truppe della Missione dell’Ecowas in Gambia (Micega), il generale senegalese François Ndiaye, non ha ancora potuto ancora comunicare né i tempi del ritiro delle truppe, né il numero reale delle forze impegnate nell’azione militare, con voci non confermate che parlano di 4mila uomini, su un totale effettivo massimo di 7mila, di cinque dei quindici paesi dell’Ecowas.
Per quanto riguarda le dinamiche interne al paese, le elezioni presidenziali hanno consegnato alla storia un Gambia diviso, esacerbato da un forte confronto politico tra maggioranza e opposizione, dove l’affermazione di Barrow non è stata netta come sarebbe stata auspicabile, ed anzi Jammeh è riuscito a vincere in due delle cinque regioni in cui è diviso il paese, quali la Central River (la maggiore regione per estensione) e la West Coast (la prima per densità di popolazione).
Sarà quindi determinante capire di quanto tempo Barrow necessiterà per vincere la scommessa della pacificazione nazionale, e garantirsi la fedeltà di importanti porzioni di quella classe politico-economica-militare che fino ad una settimana fa trovavano nella perpetrazione della presidenza Jammeh, la legittimazione naturale al loro potere. Quella stessa classe dirigente che nei momenti di maggiore criticità del paese a inizio 2017 non aveva fatto mancare il sostegno a Jammeh, e avvallato la richiesta di indire lo stato di emergenza nel tentativo di non concedere la vittoria a Barrow, ed evitarne il più a lungo possibile il suo rientro a casa.
Nonostante le buone intenzioni di formare un esecutivo di cambiamento nel minor tempo possibile, Barrow sarà costretto ad oltrepassare il ponte tibetano di nomine pubbliche, su cui molti altri prima di lui, in democrazie ben più mature del Gambia, hanno inciampato e caduto. Fonte potenziale di malcontento popolare che, se non controllato, potrebbe aprire le porte ad un rientro dell’ex presidente Jammeh, o di qualche suo fedelissimo, dalla porta di servizio. Conseguenza naturale di ventitré anni (1994-2017) di permanenza alla testa del paese.
In questa chiave di lettura vanno letti, ad esempio, i rumors che vorrebbe l’ex ministro degli interni, il colonnello Momodou Alieu Bah, fedelissimo a Jammeh fino all’ultimo giorno della sua presidenza, alla carica di direttore finanziario dell’Esercito. O ancora l’annuncio del presidente Barrow di voler mantenere in cita, sebbene con compiti e poteri riformati, l’agenzia di intelligence governativa NIA (Agence nationale du renseignement), considerata in passato come lo strumento principale di repressione del regime Jammeh. Una inevitabile scesa a compromessi.
La rottura con il suo predecessore sarà quindi forzatamente graduale, e fatta attraverso la cancellazione di simboli. Il primo, ribadito dal neopresidente il 29 gennaio, sarà la cancellazione del decreto che nel dicembre 2015 aveva cambiato il nome del paese in “repubblica islamica”, per ribadirne la laicità. Un passo simbolico attraverso il quale prova a riavvicinare il paese agli altri stati dell’africa occidentale. Il passo successivo potrebbe essere rappresentato dal ritorno del Gambia nel Commonwealth, troppo precipitosamente abbandonato nel 2013.
Le scommesse saranno aperte ancora per poco.

@debernardisv
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