Gb. Saltano i riconoscimenti e i premi assegnato ad Aung San Su Kyi

di C. Alessandro Mauceri

“La pace assoluta è un obiettivo irraggiungibile, ma dobbiamo continuare a perseguirlo”. A pronunciare queste parole fu Aung San Su Kyi nel 2012, ventuno anni dopo che le era stato conferito nel 1991, il premio Nobel per la Pace (costretta a lunghi anni di prigionia dalla ex giunta militare del Myanmar, non aveva potuto ritirarlo). A distanza di tanti anni, in molti si chiedono se meritasse quella onorificenza.
A far sorgere i dubbi sono le violenze ingiustificate nei confronti della minoranza Rohingya. Nei giorni scorsi sono morte altre 12 persone a causa del rovesciamento di un’imbarcazione carica di profughi alla confluenza di un fiume con il Golfo del Bengala, ma il loro numero è destinato ad aumentare visto che sono decine i dispersi. E tra loro molti i bambini. Il naufragio è avvenuto vicino alla città di Cox’s Bazar mentre cercava di mettersi in salvo in Bangladesh. Il giorno prima si era verificato un altro naufragio nella stessa zona. Altri morti e dispersi. Dal 25 agosto scorso oltre 500mila Rohingya hanno abbandonato lo Stato birmano di Rakhine per sottrarsi alle violenze inaudite e alla repressione delle autorità locali. In diversi hanno parlato anche di mine antiuomo posizionate proprio alla frontiera tra Myanmar e Bangladesh, nei punti di attraversamento usati dai Rohingya in fuga. Una situazione che va avanti da mesi, senza che il leader del paese, Aung San Suu Kyi sia stata in grado di porvi rimedio.
Solo ieri e solo a seguito delle pressioni internazionali da parte delle Nazioni Unite, la leader del Myanmar ha dichiarato di avere allo studio un piano per cercare di far fronte alla più grave crisi umanitaria che il paese abbia attraversato negli ultimi anni. Una decisione presa contro la propria volontà e sotto pesanti pressioni internazionali e dopo la dura condanna delle Nazioni Unite per aver negato ancora una volta l’accesso a una missione umanitaria a sostegno della popolazione Rohingya e a una squadra di osservatori.
In attesa di capire se davvero meritasse il premio Nobel conferitole, molte altre onorificenze le sono state revocate. A cominciare dalla cittadinanza onoraria del comune di Oxford, dove la San Su Kyi ha studiato, conferitale nel 1997, per essere stata trattenuta come prigioniero politico dalla giunta militare allora al governo nel Myanmar. Ora il Consiglio comunale di Oxford ha votato all’unanimità per sostenere la proposta di cancellarle questa onorificenza e di rivalutare se la leader del Myanmar è ancora degna di riceverla dopo il modo in cui è stata trattata la minoranza Rohingya, un modo di fare definito dall’Onu come “esempio di pulizia etnica da manuale”. Bob Price, presidente del Consiglio e sostenitore della mozione, l’ha definito un “passo senza precedenti” per l’autorità locale. Il Consiglio Comunale terrà una riunione speciale per confermare l’abolizione dell’onore il 27 novembre.
Ma sono molte le istituzioni britanniche hanno comunicato di voler cancellare gli onori conferiti a Aung San Suu Kyi durante la sua “campagna per la democrazia”. L’Università di St. Hugh ha deciso che San Suu Kyi non merita i riconoscimenti ricevuti: per questo il consiglio direttivo ha deciso di rimuovere il dipinto del premio Nobel dall’ingresso principale dell’ateneo. E poi Unison, il secondo sindacato del Regno Unito per iscritti, che lo scorso mese ha annunciato di voler sospendere dalla qualifica di membro onorario la leader asiatica. Anche l’Università di Bristol ha annunciato di voler rivalutare i meriti e i premi concessi alla San Suu Kyi alla luce delle accuse di maltrattamenti dei Rohingya.
La London School of Economics che ha detto di voler cancellare il titolo di presidente onorario concesso alla leader birmana.
L’unico a non aver perso la speranza nella capacità di gestire la crisi della Aung San Suu Kyi pare essere rimasto il cardinale Charles Maung Bo che ha espresso soddisfazione per la decisione di conferirle il ruolo di guida della Union Enterprise for Humanitarian Assistance, Resettlement and Development in Rakhine, un ente di cui saranno membri il governo del Myanmar e diverse organizzazioni umanitarie internazionali e che dovrebbe avere lo scopo di affrontare la crisi in corso nello Stato occidentale del Rakhine. A darne notizia è stata la stessa Aung San Suu Kyi in un discorso televisivo alla nazione, il secondo che ha tenuto da quando sono iniziati gli attacchi dei militanti islamici dell’Arakan Rohingya Salvation Army, Arsa. Scopo del gruppo di lavoro rimpatriare i rifugiati, fornire aiuti per i rifugiati in Bangladesh, e promuovere la pace e lo sviluppo nella regione.
Sono in molti però a pensare che si tratti più di una mossa diplomatica per evitare decisioni drastiche da parte delle Nazioni Unite che di un vero progetto per riportare la pace nella regione: a rivestire il ruolo di vice presidente è stato scelto Win Myat Aye, ministro birmano alla Previdenza sociale, agli aiuti e al reinsediamento ma anche presidente del Comitato di attuazione per le raccomandazioni della Commissione consultiva sul Rakhine condotta da Kofi Annan.
Intanto, è stato lanciato l’ennesimo appello per aiutare le migliaia di persone che continuano a fuggire dal Myanmar dirette in Bangladesh dove non trovano assistenza sufficiente.