Giappone. Eseguite due condanne a morte

di C. Alessandro Mauceri –

Nel totale silenzio dei media (nessun giornale o sito web occidentale ne ha parlato), nel “civilissimo” Giappone sono state eseguite non una ma due condanne a morte.
Le esecuzioni, le prime in Giappone nel 2017, portano il numero di persone giustiziate durante l’attuale governo a 19 (dal 2012). La pena di morte è prevista per 18 reati, considerati più gravi tra cui omicidio, attentato contro lo Stato e uso di esplosivo. Delle esecuzioni i condannati vengono informati solo all’ultimo momento, a famigliari e avvocati non viene dato alcun preavviso. Le esecuzioni vengono portate a termine mediante impiccagione. Ad essere impiccati sono stati Masakatsu Nishikawa, condannato per l’assassinio di quattro persone nel 1991 e nel 1992, giustiziato presso il centro di detenzione di Osaka, e Koichi Sumida, condannato a morte per aver ucciso il suo ex collega, Misa Kato, nel settembre 2011. Koichi Sumida è stato giustiziato presso il centro di detenzione di Hiroshima.
A confermare la notizia è stata l’associazione Amnesty International. “Le esecuzioni odierne dimostrano il mancato disprezzo del governo giapponese per il diritto alla vita. Il pene di morte non offre mai giustizia, è l’ultima punizione crudele e disumana”, ha dichiarato Hiroka Shoji, ricercatore dell’Asia orientale di Amnesty International. Che ha aggiunto: “Le esecuzioni in Giappone rimangono nascoste nel segreto, ma il governo non può nascondere il fatto che è sul lato sbagliato della storia, in quanto la maggioranza degli stati mondiali si è allontanata dalla pena di morte”. Parlando del caso di Sumida, Amnesty International ha sottolineato che il suo caso è stato abbandonato cosa che ha portato automaticamente alla emissione della sentenza. “Sotto il sistema attuale, anche se il caso ha un problema nel processo di indagine e di accusa, il problema è trascurato quando il sospetto ritira il caso”. Anche Nishikawa aveva presentato appello per il riesame.
In Giappone è il ministro della Giustizia a firmare l’ordine di esecuzione. Le esecuzioni dei giorni scorsi state ordinate dal ministro Katsutoshi Kaneda. Quelle precedenti risalgono allo scorso novembre, quando un uomo è stato impiccato per aver ucciso due donne nella prefettura di Kumamoto. In quell’occasione, durante una conferenza stampa, Kaneda aveva dichiarato che la punizione era stata accolta per “un caso estremamente crudele in cui le preziose vite delle vittime sono state prese per scopi egoistici. Ho dato l’ordine dopo un attento esame”.
Poche settimane prima la Federazione Giapponese delle Associazioni dei Bar aveva emesso una dichiarazione congiunta con la quale si chiedeva l’abolizione della pena capitale. Richiesta che Kaneda aveva bocciato sostenendo che “La maggioranza dei cittadini giapponesi crede che la pena di morte sia inevitabile nei confronti dei delitti”. Un sondaggio di pochi anni fa ha rilevato che oltre l’80 per cento dei giapponesi è favorevole alla pena di morte. A patto di non essere loro a decidere: un sondaggio di Amnesty International Japan del 2010 ha rilevato che oltre la metà dei sostenitori della pena capitale non avrebbero il coraggio di emettere una sentenza di morte qualora facessero parte di una giuria popolare (il 53per cento).
Secondo Amnesty International, sono 141 i paesi che hanno abolito la pena capitale legalmente o di fatto. Nel 2016, sono stati 23 i paesi, incluso il Giappone, che hanno fatto ricorso alla pena capitale ma stando alle stime, attualmente in Giappone sarebbero più di un centinaio le persone in attesa di esser giustiziate.