Giappone. Fotografia del momento economico

di Gianluca Vivacqua –

In Giappone i prezzi al consumo continuano a mantenersi alti per merito o per colpa del rincaro dei prezzi dell’energia. Ci riferiamo in particolar modo alle bollette elettriche e al costo della benzina. I dati di gennaio offerti dal ministero degli Affari Interni parlano di un’inflazione stabile allo 0,9% rispetto a novembre e a dicembre: anche al netto dei prezzi dei cibi freschi, soggetti a una costante instabilità, è comunque un punto decimale in più di quello che ci si aspettava. Il problema però è che la Banca centrale, che sta pilotando l’inflazione, si aspettava ancora di più: in effetti anche la soglia fatta registrare dal primo mese del 2018 è il frutto della continua azione “piretica” esercitata dalla Banca Centrale nipponica (BOJ) sul versante dei prezzi, da un anno a questa parte. Si tratta, per esser precisi, del tredicesimo “aumento di temperatura” consecutivo su base mensile. Nonostante questo però l’obiettivo prefissato del 2% appare ancora oggettivamente lontano. A non “collaborare” con i programmi della Banca centrale e del suo governatore Haruhiko Kuroda sarebbero, secondo gli analisti, i minori costi degli smartphone, ma anche delle bollette legate ai contratti della telefonia mobile.
Oltre all’inflazione – e questa è certamente una vittoria più consistente per le politiche espansive della BOJ targate Kuruoda –, a procedere ancor più spedita e senza arretramenti da ben otto trimestri a questa parte è la crescita generale dell’economia giapponese, sostenuta soprattutto dai consumi privati ma anche dagli investimenti a cura dello Stato (le cosiddette spese in conto capitale). Elemento di discontinuità, almeno nel medio periodo, è invece il fatto che il mese di gennaio si è chiuso nel segno di un deficit commerciale, cosa che le cronache economiche del paese non registravano da otto mesi.
Haruhiko Kuroda, 73 anni, già vice ministro delle Finanze dal 1999 al 2003, è stato poi presidente della Banca Asiatica di sviluppo (2005-13). Nel febbraio 2013 è diventato il numero 1 della Banca centrale. Da pochissimo (la nomina è del 16 febbraio) è stato confermato per un secondo mandato, quindi succederà automaticamente a se stesso ad aprile. Tuttavia potrebbe lasciare la poltrona anche prima dei tempi previsti: molti osservatori finanziari, infatti, “scommettono” che potrebbe ritirarsi da qui a due o tre anni. Certamente non prima, però. Se il suo piano, infatti, è quello di continuare a rimanere in carica il tempo necessario per dare l’impennata decisiva sul fronte inflazionistico, allora dovrà continuare ad impegnarsi almeno per tutto il 2018. A dare ascolto alle stime degli esperti, infatti, l’anno regalerà un incremento dell’1% solo a partire dal terzo trimestre.