Gibuti: primo porto d’Etiopia e dell’Africa

di Valentino De Bernardis –

Corre veloce la piccola locomotiva gibutina, impegnata come mai prima nella realizzazione di un profondo piano di trasformazione infrastrutturale. Con l’apertura la scorsa settimana del porto di Ghoubet, il governo effettua il giro di boa nel programma di creazione e modernizzazione della propria rete portuale.
Con un costo complessivo di circa 64 milioni di dollari e due anni di lavoro, la nuova struttura andrà a svolgere un ruolo chiave nella commercializzazione del sale prodotto nel lago Assal, nel cuore della depressione Afar. Uno sforzo importante che si traduce in una capacità di esportazione pari a 5mila tonnellate all’anno.
Quella di Ghoubet è la terza inaugurazione in meno di due mesi, andando ad innalzare l’ennesimo pilastro su cui poggiare le crescenti ambizioni di diventare uno dei più importanti hub commerciali del mondo, crocevia di tre continenti.
In ordine cronologico, a metà maggio, si era provveduto al primo taglio di nastro a Doraleh, con un investimento complessivo di otre 500 milioni di dollari, dedicato alle navi cargo, con l’obiettivo dichiarato di alleggerire le pressioni sullo storico porto francese di Djibouti city, ormai giunto alla saturazione.
Ad inizio giugno è stato il turno del porto di Tadjourah (costo di realizzazione 90 milioni di dollari) quasi completamente dedicato all’esportazione di potassio per uso agricolo proveniente dall’Etiopia. A completare il piano di sviluppo nazionale, entro l’anno dovrebbe essere completata la costruzione di un quarto terminale dedicato alla catena logistica del freddo per i prodotti provenienti dall’Europa. Tutti i progetti hanno potuto contare sui ingenti finanziamenti provenienti dalla Cina, che con la loro diplomazia economica, ormai rappresentano il primo investitore africano a tutte le latitudini, a discapito di Europa e Stati Uniti.
Investimenti strategici, quelli cinesi, che non sono certamente a fondo perduto, dato che i capitali elargiti rientrano sotto forma di commesse aggiudicate ad aziende cinesi, e poi vanno a creare quell’importante legame diplomatico impossibile da recuperare per molti anni, e a cui Pechino a tempo debito farà certamente ricorso: la riconoscenza.
Da parte gibutina, lo scopo dichiarato del presidente Ismail Omar Guelleh è quello di far diventare il paese una delle prime porte d’accesso per il mondo verso l’entroterra del corno d’africa, e l’unica porta d’uscita verso il mondo. Obiettivi raggiungibili oltre che per l’impegno profuso da Gibuti, dall’elevato grado d’inaffidabilità e instabilità politica degli altri due paesi costieri: Eritrea e Somalia).
L’importanza geopolitica e geoeconomica di Gibuti nell’area è direttamente proporzionata ai buoni rapporti intrattenuti con l’Etiopia. I porti di Ghoubet e di Tadjourah infatti hanno ragione di esistere solamente in ragione del boom economico etiope che crea un doppio senso di marcia tra Gibuti e Addis Abeba. Il primo è relativo all’importazione di merci  e materie prime di cui l’Etiopia necessita per soddisfare i continui bisogni dei propri quasi cento milioni di abitanti (e quindi di consumatori). Il secondo è rappresentato al crescente export etiope, che si estende oltre ai soliti prodotti dell’economia nazionale (caffè e fiori) anche alla manifattura, con il piano di Addis Abeba di diventare entro il 2025 il primo hub africano per la produzione di abbigliamento e calzaturificio.
Un angolo di mondo in crescita costante che l’Europa (sia unitamente che come singoli stati nazioni) non riesce ad intercettare, e non si capisce se per incapacità o per disinteresse. Due possibilità entrambe preoccupanti.

@debernardisv
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