Giornata del Rifugiato. per nascondere anche in Italia ben altre verità…

di C. Alessandro Mauceri –

Come ormai abitudine, ogni volta che si parla di “migrazioni” le inesattezze e le strumentalizzazioni dei dati sono innumerevoli.
Come per la Giornata Mondiale del Rifugiato. Tutti i media si sono precipitati a riportare allarmati il loro numero, 68,5 milioni, tante sarebbero le persone costrette a fuggire da casa propria nel mondo secondo il rapporto annuale Global Trends 2017 dell’agenzia Onu per i rifugiati, l’UNHCR. E di lì tutti giù ad elaborare la notizia: sono più della popolazione italiana, sono 44.500 al giorno, a loro si aggiunge una persona ogni due secondi, un essere umano ogni 110 è costretto a fuggire.
Per il resto pochi hanno cercato di approfondire l’argomento e si sono limitati al mero comunicato stampa, più o meno elaborato. Pochi per esempio hanno sottolineato che la maggior parte di loro, quasi due terzi del totale (40 milioni) non cerca nemmeno di attraversare i confini del proprio paese: si accumulano in grandi campi profughi o in baracche degli slum delle metropoli (il 58% abita in aree urbane). Quattro rifugiati su cinque, poi, vanno poco oltre, nei paesi limitrofi, sempre nella speranza di tornare quanto prima a casa propria. Non in Italia o in Europa, ma in Paesi che molti forse non saprebbero nemmeno indicare con esattezza in una carta geografica nomi. Per loro, spesso, i servizi essenziali sono negati. Il 53% dei rifugiati sono minori tra cui molti non accompagnati o separati dalle loro famiglie. E oltre 3,5 milioni di bambini “rifugiati” non ha alcuna possibilità di andare a scuola, di avere accesso a servizi essenziali come un posto sicuro dove dormire, del cibo o delle cure mediche. Ma questo nessuno lo dice. E nessuno fa niente per aiutare questi bambini e le loro famiglie lì dove si trovano.
Secondo lo stesso rapporto citato dai giornali (peraltro pubblicato circa un anno fa e con dati relativi al 2016, ma questo pochi lo hanno detto), il maggior numero di rifugiati in percentuale per mille abitanti nel mondo si trovano in Libano, seguito dalla Turchia e poi dal Chad. Il primo paese occidentale è la Svezia. E pochissimi hanno detto che il numero dei richiedenti asilo dei rifugiati, cioè le persone ancora in attesa di un attestato di protezione internazionale sono solo 3,1 milioni, dieci volte il numero dell’anno precedente ma una percentuale esigua del totale.
Loro con i Rom o con i migranti che si trovano in Italia e in Europa, hanno poco a che vedere.
Sorge il sospetto che l’argomento “rifugiati” così come quello “Rom” (con le polemiche da una parte e dall’altra sui numeri e sulla registrazione, come se a tutti i cittadini italiani non fosse assegnato un “numero”) siano solo stratagemmi per distrarre l’attenzione degli italiani dai problemi ai quali nessuno finora ha saputo fornire una risposta. A cominciare proprio dai flussi migratori: i “migranti” (si badi bene: non i “rifugiati”), secondo un rapporto Onu sulle migrazioni internazionali (pubblicato in occasione della Giornata Internazionale dei Migranti… ma perché celebrare prima la giornata dei migranti poi quella dei rifugiati, poi?) sono oltre 258milioni, ovvero quattro volte i rifugiati. Un problema di gran lunga maggiore non solo perché interessa in prima persona l’Italia e l’Europa ma anche perché è in costante crescita con un aumento del 49 per cento rispetto al 2000, quando erano 173 milioni, e del 18 per cento rispetto al 2010, quando se ne contavano 220 milioni e anche rispetto allo scorso anno quando erano 244milioni. Questo sì potrebbe interessare l’Italia: secondo le Nazioni Unte, il Bel Paese occupa l’undicesimo posto (dietro anche a Emirati Arabi, Francia, Canada, Spagna) con 5,9 milioni di migranti che vivono stabilmente sul territorio nazionale.
E dopo il fallimento degli ultimi incontri, di fatto, l’Unione Europea è in una fase di stallo.
Ma non è questo il solo problema che dovrebbe preoccupare chi governa o chi è all’opposizione (indipendentemente dal partito di appartenenza). Eppure nessuno parla del divario tra l’Italia e gli altri paesi europei: rispetto a molti di loro la crescita nazionale è decisamente più lenta, cosa che si traduce in un aumento del gap esistente. Così come nessuno parla mai del tax ruling: mentre ai normali cittadini vengono imposte tasse sempre più alte, alle grandi aziende e alle multinazionali viene concesso di “contrattare” le somme da pagare. E questo non da ora, ma da anni, poco importa quale partito politico o movimento o coalizione fosse al governo. Anzi pare che sia in corso una gara tra i paesi europei per chi fa pagare meno tasse pur di accaparrarsi la presenza di questo o quel grande gruppo nel proprio territorio: le Apa, Advanced pricing agreements, la tipologia di accordo più diffusa, firmate da Stati membri della Ue è aumentato del 64% tra il 2015 e il 2016 passando da 1.252 a 2.053. Ma di questo non ha parlato nessuno.
Così come nessuno parla dei SIN, i Siti di Interesse Nazionale, ovvero le aree contaminate molto estese classificate come pericolose dallo Stato e che necessitano di interventi di bonifica del suolo, del sottosuolo e/o delle acque superficiali e sotterranee per evitare danni ambientali e sanitari. Di loro non si parla mai. E si fa ancora meno: secondo i dati del ministero sono 57 (40 nazionali, gli altri regionali) ovvero lo stesso numero riportato nel rapporto del 31 dicembre del 2012!
E a proposito di salute, esistono ancora notevoli differenze tra le regioni d’Italia e tra l’Italia e gli altri Paesi dell’Ue. Lo rileva l’Istat nel suo Rapporto annuale 2018: se da un lato è vero che “più facilmente si percepisce come buono il proprio stato di salute, in Italia, in media sette persone su dieci dichiarano di essere in buona salute, con una prevalenza negli ultimi due quinti di reddito (quelli più elevati) e una sostanziale parità nei primi tre”, dall’altro questo dato “rispetto alle rilevazioni negli altri Stati Ue” è a volte difficile dato che “risente di un quadro di analisi completo da cui mancano i dati per l’Italia rispetto ad alcuni settori chiave per le decisioni di politica sanitaria, sia nazionale che internazionale, ossia quelli inerenti all’assistenza ambulatoriale e territoriale, alla spesa per patologia e per età, ai tempi delle liste di attesa per alcune tra le più frequenti prestazioni sanitarie e alle prescrizioni farmaceutiche per profilo patologico”.
Per non parlare dell’ambiente: nessuno parla di impronta idrica, di problemi di siccità o di aridità e di gestione dei bacini idrici nazionali. E pochi hanno detto che, mentre a livello globale la giornata della sostenibilità, cade il 2 agosto, in Italia è il 24 maggio: segno che il nostro paese consuma le proprie risorse naturali rinnovabili troppo velocemente e di sicuro più velocemente di quanto fanno mediamente gli altri paesi del pianeta.
Ma naturalmente di tutto questo nessuno parla. Il vero problema per l’Italia sono i “rifugiati”. Anche in questo caso, però, chi lancia l’allarme, lo fa senza dire tutti i numeri. Secondo l’UNHCR (dati 2016) i rifugiati in Italia sono 131mila, ovvero il 2 per mille della popolazione. Molti? Pochi? Nessuno di quelli che ha lanciato l’allarme si è premurato di dire quali sono i numeri di altri paesi dell’Ue: in Svezia sono 186mila con una popolazione che è un sesto di quella italiana (10 milioni). In Germania sono 478mila a fronte di 82 milioni di abitanti. Bastano questi “numeri” a capire che l’allarme “rifugiati” in Italia non esiste. Specie considerando la condizione di frontiera dell’UE a sud. L’Italia ha una percentuale molto contenuta di rifugiati sul proprio territorio, per contro ha un numero molto alto di migranti dei quali l’Europa però non parla quasi mai (nei documenti, come in quelli che prevedevano il ricollocamento da Grecia e Italia – sottoscritto ma mai completato – si parla quasi sempre di rifugiati e profughi). Ma di tutto questo si parla poco.