Golfo: l’Iran dà notizia dell’arresto di 17 spie della Cia

di Enrico Oliari

Nel quadro delle tensioni del Golfo, innescatesi con la decisione di Donald Trump di ritirare gli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano (Jpcoa) e soprattutto di imporre ai paesi alleati (compresa l’Italia) il divieto d’acquisto di idrocarburi dalla Repubblica Islamica dell’Iran, dalla “guerra delle petroliere” si è arrivati oggi all’arresto di ben 17 individui ritenuti essere “spie addestrate dalla Cia”.
Lo ha reso noto l’agenzia di stampa iraniana Farsnews, ed il direttore generale del Dipartimento di controspionaggio del ministero dell’Intelligence ha reso noto che nei confronti di alcuni dei 17 arrestati sono già state emesse le sentenze di condanna a morte, di cui almeno una eseguita in giugno nei confronti del dipendente della Difesa iraniana, Jalal Haji Zwar, il quale aveva lavorato come appaltatore per l’Aerospace Industries Organization iraniana, per poi essere licenziato nel 2010. Alcune dei presunti 007 sarebbero stati reclutati nel momento in cui hanno chiesto il visto per gli Stati Uniti.
Stando alle accuse i sospettati avrebbero spiato obiettivi sensibili e, come ha riferito un ufficiale dei pasdaran all’agenzia Irna, “Le spie che abbiamo identificato lavoravano come appaltatori o consulenti in centri sensibili nonché in settori privati associati a questi centri”.
L’operazione che avrebbe portato allo smantellamento della rete della Cia in Iran, fatta di cittadini iraniani reclutati sul posto, sarebbe avvenuta nei mesi scorsi, ma la notizia è stata diffusa volutamente oggi nel pieno delle tensioni, dopo che solo due giorni fa gli iraniani hanno sequestrato una nave cargo britannica carica di greggio nei pressi dello Stretto di Hormuz, la Stena Impero, con a bordo 23 membri dell’equipaggio di cui nessuno inglese. Una mossa, quella dei pasdaran, condotta volutamente in modo identico a quella portata a termine dai militari britannici lo scorso 4 luglio a Gibilterra, dove hanno sequestrato una petroliera iraniana, la Grace 1, su richiesta degli Usa in quanto diretta in Siria, e quindi in contravvenzione delle sanzioni sia europee che statunitensi verso il regime di Bashar al-Assad.
Evidentemente il presidente Usa Donad Trump ha alzato l’asticella delle tensioni con l’Iran nel tentativo di spuntare un nuovo accordo sul nucleare, ma la cosa gli sta sfuggendo di mano anche perché nelle pieghe della strategia si sono inseriti falsi allarmi e falsi attentati mossi da paesi che lo scontro lo cercano davvero.
Basti vedere il caso dell’attacco di metà giugno a due petroliere, una giapponese ed una norvegese, nei pressi dello Stretto di Hormuz: Trump ha puntato il dito contro l’Iran, ma proprio quel giorno era in visita a Teheran il premier giapponese, Shinzo Abe, per cui difficilmente i pasdaran avrebbero minato una petroliera giapponese, carica di greggio diretto in Giappone, rischiando di mandare all’aria le relazioni con i due paesi.
Il 19 luglio vi è stata poi la figuraccia di Trump, sempre fornito di false informazioni: il presidente Usa ha denunciato l’abbattimento da parte iraniana di un drone sui cieli internazionali, salvo poi questi essere ripreso da un drone iraniano, con tanto di immagini diffuse urbi et orbi, mentre rientrava sulla nave anfibia della Marina Uss Boxer, con a bordo 2.200 militari.
Alla notizia dell’arresto delle 17 spie il presidente Usa ha commentato via Twitter che “l’informazione secondo cui l’Iran ha catturato spie della Cia è totalmente falsa. Zero verità. Solo altre bugie e propaganda da parte di un regime religioso che sta fallendo che non ha idea di cosa fare. La loro economia è morta e peggiorerà molto. L’Iran è un caos totale”. La sua amministrazione ha promesso nuove sanzioni, ma si dubita che possano avere effetto su un paese che ha una storia fatta di sanzioni e di privazioni. E in cui proprio le tensioni e le sfide internazionali sembrano coalizzare le diverse anime.