Guinea Bissau. Embaló si presenta dimissionario

di Valentino de Bernardis

Si apre un nuovo capitolo nella storia politica recente dell’ex colonia portoghese della Guinea Bissau. Sabato 13 gennaio il primo ministro Umaro Embaló ha rimesso il mandato nelle mani del presidente della repubblica José Mário Vaz. Si va cosi a chiudere l’avventura del quinto esecutivo in appena tre anni e mezzo.
A differenza di quanto però solitamente accade in altri paesi nel mondo, in Guinea Bissau la caduta del governo non si traduce simultaneamente in una maggiore instabilità politica, ma anzi un flebile tentativo di porre le basi per una futura stabilità di medio-lungo periodo.
Per spiegare questa peculiarità forse unica al mondo bisogna andare indietro al 2015, quando l’attuale crisi politica ha avuto inizio per una disputa tutta interna al Partido Africano da Independência da Guiné e Cabo Verde (PAIGC), per poi allargarsi a livello istituzionale. La causa scatenante fu la defenestrazione dell’allora primo ministro Domingos Simões Pereira da parte di Vaz, entrambi nel PAIGC. Uno strappo difficile e inaspettato tra i due uomini forti del paese, capace di portare alla scissione dello stesso partito di maggioranza, con quindici parlamentari fedeli a Pereira passati all’opposizione parlamentare. Un numero non elevato, ma sufficiente a privare il PAIGC della maggioranza necessaria per poter governare il paese, e rendendo di fatto impossibile la formazione di una qualsiasi altra maggioranza parlamentare.
Lo stallo politico sommato ad una congiuntura economica sfavorevole e allo spettro sempre presente di un ennesimo intervento dei militari per prendere il potere sono stati i catalizzatori dell’intervento diplomatico della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), per iniziare i negoziati tra le parti in causa e trovare una sintesi condivisa. Un tentativo dovuto per mettere al sicuro la stabilità dell’intera area. I frutti della pressione diplomatica si sono avuti nell’ottobre 2016 negli accordi di Conakry, sotto la regia del presidente guineano Alpha Condé. Una precisa road map attraverso cui il PAIGC e gli scissionisti all’opposizione si impegnavano, tra le altre cose, ad eleggere un primo ministro super partes che potesse portare il paese alle elezioni generali del 2018.
Un piano semplice sulla carta ma di difficile implementazione dato che la successiva nomina di Embaló a capo del governo, nel novembre 2016, non incontrava il consenso dell’opposizione che difatti ha iniziato un lungo ostruzionismo, tanto da spingere l’ECOWAS ad un secondo intervento, nello scorso dicembre, imponendo un ultimatum di 30 giorni per dare seguito agli accordi sottoscritti.
Ecco quindi spiegata l’anomalia della Guinea Bissau, per cui le dimissioni di un primo ministro rappresentano un passo verso la normalizzazione dei rapporti istituzionali. Adesso non si può far altro che attendere il successivo passo, o segno di buona volontà se si preferisce, da parte del presidenze Vaz per trovare un personaggio capace di traghettare il paese nei pochi mesi prima delle elezioni e svolgere la normale amministrazione.
Purtroppo la storia della Guinea Bissau ci fa essere tutt’altro che ottimisti, speriamo di essere smentiti. Ad oggi gli unici a perdere sono i cittadini del paese, costretti ad una povertà diffusa di cui però la classe politica non sembra interessarsi.

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