Haker rivelano coinvolgimento degli Emirati in Libia. Violate le email dell’ambasciatore in Usa

di Vanessa Tomassini –

Lo scorso giugno un gruppo di hackers, noto come “Global Leaks” (Perdite Globali), è riuscito a violare la casella di posta dell’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti negli Stati Uniti, Yousef al Otaiba, rilasciando gradualmente tali informazioni in rete. Mentre a giugno gli informatici hanno dimostrato la relazione tra al-Otaiba e un think-tank neoconservatore pro-israeliano, la Fondazione per la Difesa delle Democrazie (Fdd), nei giorni scorsi – non sappiamo esattamente quando – è comparsa una nuova cartella “Libya pdf”, che abbiamo avuto modo di visionare.
La fitta rete di conversazioni, alcune risalenti al 2011, rivelano un’alta collaborazione di backchannel tra la Fdd, finanziata dal miliardario pro-israeliano Sheldon Anderson e gli Emirati Arabi Uniti; la collaborazione tra Fdd e Uae con giornalisti, autori di articoli che accusano Qatar e Kuwait di sostenere e flirtare con il “terrorismo”. Oltre a diverse email tra Otaiba e Robert Gates, ex segretario alla difesa degli Stati Uniti nelle amministrazioni di George Bush e Barack Obama, fa riflettere il messaggio di giovedì 29 luglio 2014 alle 8,53 del mattino indirizzato a Susan Rice, ex Rappresentante permanente alle Nazioni Unite ed ex Consigliere per la sicurezza nazionale. Nella mai l’ambasciatore scrive: “MBZ mi ha chiesto di informarla che sarà inviato un ‘equipaggiamento’ ai nostri amici nella parte Ovest della Libia nei prossimi 2-3 giorni. Arriveranno in un aereo cargo Uae e saranno scortati da un contingente militare, giusto per assicurare un passaggio sicuro”.
Una conversazione di giovedì 7 luglio 2015 tra Richard Mintz, John Gastright, Steven Salazar in copia conoscenza all’ambasciatore, si sollecita un pagamento destinato a rimborsare i costi sostenuti dai libici in una iniziativa sponsorizzata da Otaiba, secondo un contratto firmato il 17 febbraio 2015 con la International Golden Group, agenzia di servizi di sicurezza con sede ad Abu Dhabi. Per l’iniziativa era stato concordato un pagamento anticipato al 100%.
Il 25 aprile 2017, Hagir Helawad, collaboratore dell’ambasciatore informava il “boss” dei prossimi step ed opzioni statunitensi nella crisi in Libia, discussi dalla Commisione del Senato per gli Affari Esteri lo stesso giorno. Nel testo dell’udienza, Helawas evidenzia i punti di interesse per gli Emirati, che saranno poi discussi ad un tavolo per rivedere la posizione e il ruolo Uae in Libia. In giallo la dichiarazione del Dr. Werhey che ammette il supporto da parte di Uae, Russia ed Egitto ad alcune fazioni guidate dal generale Khalifa Haftar, definito come “existential challenge”. Sfida esistenziale che sarebbe dettata, secondo il senatore Menendez dalla “fobia degli Emirati nei confronti della fratellanza musulmana”, si legge poco più avanti.
In altre mail si parla anche dei movimenti rivoluzionari pro-gheddafi e dell’interesse dell’ambasciatore di tutelare gli interessi di clienti emirati coinvolti in progetti di infrastrutture in Libia, preoccupati dai cambiamenti di tassazione tra Libia e Uae.
L’ambasciatore viene anche tranquillizzato sulla National Oil Corporation (Noc) e le sue operazioni di esportazione. Dove viene affermata l’illegittimità del presidente di Tripoli. In una mail del 24 aprile 2016 si legge: “Il signor al-Serraj non ha alcun diritto di intraprendere alcuna azione in quanto la sua legittimità non è stata investita dalla Camera dei Rappresentanti, per questo il Non non è interessato a trattare con il signor al-Serraj”.
La cartella propone poi – giustamente – una mail contenente la risoluzione 2292 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che condanna il flusso di armi da e per la Libia. Infine, una serie di messaggi risalenti al 2011, durante la guerra civile che dimostrano un interessamento degli Emirati, con la stesura di un articolo di opinioni sul New York Times, che fa appello, ad un intervento aereo contro Gheddafi, alle Nazioni Unite.
È strano che queste informazioni siano arrivate proprio mentre a Londra i capi della diplomazia con Ghassan Salamè discutevano sui punti di una politica coordinata ed unitaria, mentre Ahmed al Mismari, il rappresentante dell’Esercito nazionale libico guidato dal generale Khalifa Haftar e la delegazione del governo libico di unità nazionale guidata dal vice premier Ahmed Maiteeq, si trovano a Mosca, ovviamente senza incontrarsi. È chiaro che ci troviamo di fronte a una cyberwar, ma quali sono gli interessi degli hacker nel diffondere questo materiale proprio ora?